Venerdì, 25 Ottobre 2024

Agosto

Chiudeva la FIAT e con essa l’intera città. Per noi, come per milioni di altri calabresi, che da Torino tornavano “giù”, era il viaggio più importante dell’anno. L’auto già caricata aspettava il momento in

cui mia madre chiudeva il suo negozio, e via, con l’Alfetta lanciata verso Sud. Milleduecento novantasette chilometri, una quindicina di ore, prima fermata Roncobilaccio. Fin da bambina quel viaggio che sfilettava in due l’intera penisola aveva per me il valore di una prova da superare prima di riscuotere il premio. Ma era anche un gioco: la prima volta che si vedeva il mare, la conta dei tunnel, le canzoni nel mangiacassette, il traffico attorno a Napoli, la superstrada come un nastro di asfalto parallelo al mare che faceva da cornice alla libertà. Chi per arrivare fin quaggiù si allontanava da una città come Torino, dalle sue nebbie, sentiva bene la differenza e beveva quell’agosto come un balsamo salvifico che avrebbe poi centellinato durante tutto l’anno.

Quando vedevo comparire il nome scintillante di Diamante, capivo che eravamo a buon punto. Poi Acquappesa, che immaginavo limpida, stesa con le mollette ad asciugare; Longobardi, che mi parevano i templari custodi del Santo Graal, schierati a cavallo a salutare il nostro passaggio; Amantea, principessa araba che dall’alto del paese, alla finestra velata di lunghi tendami bianchi, guardava il mare; Fiumefreddo, di cui intravedevo i magnifici affreschi di donne e cavalieri nel castello diroccato; Pizzo, che immaginavo bianco, schiuma sulle onde blu; Gioia Tauro, il cui nome si allargava sulla piana immensa tra gli ulivi secolari; Palmi, che mi figuravo aperti, quelli delle mani, a offrire quella visione di infinito, di isole e vulcani. Insomma, una specie di viaggio iniziatico che apriva il mese tanto atteso, così pieno di promesse, di incontri, danze, tuffi, canotti, falò, pesche notturne, chitarre.

Ora che abito qui, è agosto il mese più difficile. Un assedio, una mutazione, uno shock culturale, un bombardamento acustico, una giostra di sperdimento e ubriacatura. Mentre gli stabilimenti balneari, riminizzati, irregimentano ombrelloni e sdraio, da un giorno all’altro si fanno file per il gelato, per la benzina, per il fritto misto, per i farmaci, per entrare in paese.

Quella che per The guardian è una regione “tutta da scoprire” e per il Time“una meta sottovalutata da visitare almeno una volta”, pare esserlo diventata per il solo mese d’agosto, quando 8,4 milioni di persone, secondo dati del 2023, sembrano rovesciarsi contemporaneamente alle nostre latitudini. “I conti dell’anno in corso si faranno a fine stagione - spiega in un’intervista Maria Grazia Gazzaruso, presidente della sezione Turismo di Unindustria Calabria -. Ma soprattutto ad agosto le strutture sono andate sold out nelle località più note. A stupire è l’aumento di presenze in Sila che dimostra un turismo montano in crescita, perché in Calabria non si deve scegliere tra mare e montagna”.

Proprio perché siamo una regione emergente, di straordinaria bellezza e specificità, e perché non ci sono più le industrie che chiudono ad agosto, dovremmo poter evitare fenomeni di sovraffollamento come quelli che hanno portato a clamorose manifestazioni di piazza, con tanto di pistole ad acqua, in Spagna, o in Grecia, dove, con “la rivolta degli asciugamani”, gli abitanti denunciavano l’impossibilità di accedere alla spiaggia pubblica. Quello dell’overtourism è un fenomeno preoccupante anche in tutte le nostre grandi città d’arte, dove si sgomita con masse in bermuda nelle vie del centro, e dove appaiono persino scritte contro i turisti, come è successo a Verona e Bolzano, in odore di xenofobia. Un controsenso.

In Calabria, terra della filoxenia, l’amore per il forestiero come lo concepivano i Greci, potremmo permetterci una presenza di visitatori spalmata lungo tutti i mesi dell’anno. Ma, per arrivare a questo, la Calabria deve soprattutto diventare più accogliente per chi ci abita. Senza diventare altro da sé, senza svendersi o folklorizzarsi, senza trasformarsi in colonia energetica, ma lavorando per essere un luogo migliore per chi ci vive tutto l’anno, per chi sceglie di restare, di partire, o di tornare, una regione dove si possa spostarsi agevolmente, studiare, lavorare, curarsi, fare cultura, rigenerare i centri a rischio spopolamento e quindi accogliere visitatori, in ogni mese dell’anno.

Cantava con la sua erre arrotata Francesco Guccini ne “La canzone dei dodici mesi”: <<Non si lavora agosto, nelle stanche tue oziose ore, mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore...>>.

Ma è anche vero che appena fuori dalla morsa agostana, da quella che Camilleri definiva “la vampa d’agosto”, quando i primi temporali rompono l’Estate, e profumano l’aria con la gratitudine della terra arsa, la Calabria offre il meglio di sé. Anche nella malinconia dei saluti degli emigranti che tornano lontano, come la Madonna torna in chiesa, a ritroso, dopo aver percorso le antiche vie del paese che sono radice comune di tanti frutti sparpagliati nel mondo. Nel mare per pochi, straordinariamente cristallino, nello sguardo di quella bambina che fotografai al Lido San Domenico di Soverato, come fosse la personificazione dell’Estate che finisce.

Dice sempre Guccini: “Settembre il mese del ripensamento sugli anni e sull' età, dopo l'Estate porta il dono usato della perplessità...
Ti siedi e pensi e ricominci il gioco della tua identità, come scintille brucian nel tuo fuoco le possibilità, le possibilità...”

Identità della nostra regione, anche, che deve ripensare alle sue possibilità, al di là della retorica dell’accoglienza, attrezzandosi per una più lunga e proficua stagione di condivisione. Credo che in fondo avesse proprio ragione mio zio Nunzio quando, incredulo, l’ultimo giorno di agosto, vedendoci caricare l’automobile per il lungo viaggio di ritorno, e pensando ai fichi settembrini, all’uva, ai fungi, e alle castagne esclamava ogni volta: “Ma come, ve ne andate proprio adesso che siamo intu miegghiu?”.