Era il 15 ottobre 1923 quando a Palermo, da famiglia aristocratica, nacque colui che è considerato il padre del cinema documentario italiano. Regista e sceneggiatore, De Seta, è stato calabrese nell’anima.
Oggi, nel 2023, l'occasione del centenario della sua nascita permette di ricordare un genio del neorealismo italiano, che ha indagato il vivere quotidiano sotto ogni suo aspetto, ispirando i grandi artisti del Novecento, da Pier Paolo Pasolini a Martin Scorsese.
Aveva natali pesanti, Vittorio De Seta, che mai amò particolarmente. Il nonno paterno (prefetto un po’ ovunque e poi sindaco di Catanzaro a fine Ottocento) e suo fratello erano i marchesi Francesco ed Enrico, deputati, poi senatori all’inizio del Novecento, nati a Belvedere Marittimo. Il nonno materno era invece il conte piemontese Giovanni Emanuele Elia, inventore in ambito militare. Padre e madre? Separatisi prestissimo. Erano il marchese Giuseppe De Seta, scomparso assai prematuramente, e la ben più nota Maria Elia, meglio conosciuta come la marchesa De Seta Pignatelli, per aver sposato in seconde nozze il principe Valerio Pignatelli di Cerchiara. La madre insieme al nuovo marito, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, intraprese la carriera di agente segreto per conto della Repubblica di Salò e Vittorio sperimentò sulla propria pelle l’orrore della guerra, finendo prigioniero in un campo di concentramento tedesco tra il 1943 e il 1945.
In seguito, dopo aver iniziato, e presto abbandonato, gli studi di architettura a Roma, decise di dedicarsi al cinema. Un viaggio in Francia permette l’esperienza di aiuto regista in un lungometraggio, ma il giovane Vittorio non è tipo da carriera tradizionale. Perché dopo una guerra che ha completamente massacrato l’intero Paese, lasciando ai cittadini soltanto macerie, percepisce l’urgenza dell’Italia di raccontarsi. Inizia così a documentare la vita degli abitanti dei villaggi del meridione italiano. Tra il 1954 e il 1959, autofinanziandosi e costituendo una propria troupe, spesso con dilettanti, realizzò documentari, ambientati prevalentemente in Sicilia e Sardegna, destinati a segnare profondamente l'evoluzione del genere in Italia.
Tra questi cortometraggi il documentario "Isola di fuoco", ambientato nelle isole Eolie, viene premiato come miglior documentario al Festival di Cannes del 1955.
Innovatore nell'uso del colore, nell'abolizione quasi totale della voce fuori campo e soprattutto nell'utilizzo del suono in presa diretta, in un'epoca in cui il cinema italiano praticava quasi esclusivamente la postsincronizzazione.
In quegli anni fecondi De Seta torna in Calabria regalando al pubblico, nel 1959, "I dimenticati", testimonianza di una capacità di scrittura cinematografica che riesce a cogliere la verità dei riti millenari della vita e del lavoro nel Mezzogiorno d'Italia. Ambientato ad Alessandria del Carretto, comune calabrese di circa 1600 anime privo al tempo ancora di una strada di accesso al paese, documenta per intero l'antica tradizione della "festa della Pita". Un pino enorme viene scortecciato e issato nella piazza del paese per poi essere scalato nel tripudio generale come albero della cuccagna. Ad Alessandria Del Carretto quei "dimenticati" non hanno mai dimenticato De Seta tanto da farlo cittadino onorario del paese.
Nel 1961 debutta al cinema con il primo film a soggetto “Banditi ad Orgosolo”. Prende gli attori dalla strada, con metodo neorealista, dimostrando la sua abilità di portare sullo schermo la vera essenza delle persone e delle comunità che ritrae, Sarà un incredibile successo di critica per la pellicola. Vince il premio come miglior Opera prima al Festival di Venezia e il Nastro d'Argento per la migliore fotografia. La questione del banditismo sardo viene cosi rivelata e incastonata nella nuda verità.
La capacità e la sensibilità di fornire uno sguardo prezioso sulla vita di un tempo che spesso rischia di essere dimenticato.
Momenti autentici di comunità rurali in Italia, immagini catturate dalla sua cinepresa che diventano vere e proprie opere d'arte, rendendo omaggio alla dignità e alla bellezza della vita semplice.
Ecco perché il lavoro di De Seta è spesso associato al "realismo poetico", un termine che ben descrive la sua abilità di fondere la realtà con una sensibilità artistica distintiva.
Dopo aver realizzato “Diario di un maestro” nel 1973, un prodotto esplosivo per la società dell’epoca, De Seta si ferma per un pò. Poi in seguito alla morte della moglie Vera Gherarducci, che il regista volle sempre al suo fianco anche come assistente alla produzione, decise di trascorre gli ultimi anni della sua vita in Calabria, a Sellia Marina, in provincia di Catanzaro. Si mette a fare l'agricoltore ma la voce della sua presenza, in quell’eremo di Sud, ben presto si sparge. Cosi giovani cinefili, che conoscono la sua arte, iniziano a frequentarlo chiedendogli consigli.
Tutto ciò non fa altro che stimolare la voglia di mettersi nuovamente a sperimentare. Grazie alla Rai nel 1993 nasce il documentario “In Calabria”, una allarmata e sconsolata ricognizione dove la Calabria non è soltanto "in Calabria", ma un po' dappertutto, intorno ad ognuno di noi. In cui evidenzia come lo sviluppo tecnologico per alleviare la fatica dell'uomo, la ricerca del benessere materiale e del profitto, hanno creato un profondo vuoto spirituale, un diffuso senso di smarrimento. Dimostrando ancora una volta come pochi autori nel mondo abbiano la capacità di interpretare l’ethos di un popolo.
Il lavoro e la voglia di raccontare, documentare, tramandare, lo porta nel 2005, all'età di 82 anni, ha realizzare "Lettere dal Sahara", un lungometraggio che narra le vicissitudini di un immigrato senegalese in Italia, dallo sbarco a Lampedusa fino alla ricerca di occupazione in varie città del nord, tra difficoltà, lavoro nero e razzismo.
E' l'ultima riflessione sul mondo reale che lascia a tutti noi dopo 60 anni di carriera. Si spegne un lunedì sera di fine novembre del 2011, all'età di 88 anni.
Vittorio De Seta, forse immerso fin troppo nel suo ideale di un mondo buono da poter recuperare, è stato uno dei grandi narratori dell’Italia che riceveva in eredità una rinnovata libertà ma che si trovava nel limbo tra un passato che non usciva di scena e un domani interamente da ricostruire.
I suoi film e documentari offrono, ancora oggi, l’occasione per riflettere sul mondo delle nuove migrazioni, sui mutamenti sociali, sui viaggi e i ritorni che coinvolgono la Calabria, come tutti i Sud del mondo.
Nonostante la sua scomparsa l'eredità di Vittorio De Seta continua a influenzare generazioni di cineasti e appassionati di cinema documentario. La sua capacità di raccontare storie senza parole, attraverso immagini mozzafiato e colonna sonora evocativa, rimane una fonte d'ispirazione per coloro che cercano di catturare l'essenza umana attraverso l'arte del cinema. Ecco perché il centenario dalla nascita di Vittorio De Seta è un momento di riflessione e celebrazione per il mondo del cinema. Lasciamoci ispirare dalla sua visione unica e dalla sua maestria nel raccontare storie attraverso l'obiettivo della sua cinepresa. Che il suo spirito creativo continui a illuminare il cammino di futuri cineasti e spettatori in tutto il mondo.