Giovedì, 28 Marzo 2024

La pittura e i sogni. Con una mostra-performance sul grande Fellini, sbarca in Argentina l’artista internazionale Natino Chirico

Dopo Boston la scorsa primavera con la mostra “The Magic of Color”, la sua arte pittorica è approdata in Argentina.

Il pittore Natino Chirico mentre crea un’opera sul regista Fellini all’Istituto italiano di cultura di Buenos Aires

Una personale, inaugurata a novembre 2019, che rimarrà esposta fino al prossimo 14 febbraio. Artisti si nasce o si diventa? Per Natino Chirico, da quarantasette anni, è una vocazione che lo ha condotto a fare delle scelte radicali, di libertà espressiva e artistica dedicando sin da ragazzo tutta la sua vita alla pittura. Ogni sua opera, da artigiano della pittura, è il coraggio di mettersi in gioco e di sognare, denota passione e amore viscerale per l’arte pittorica. Guardando le sue creazioni si coglie subito che non lasciano nulla al caso; in ogni dettaglio si conformano strettamente a pesate e coerenti scelte tecniche e artistiche. Reggino di nascita, con fierezza dice ancora di essere nato nel quartiere di Santa Caterina, da molti anni è trapiantato a Roma per lavoro. Dopo aver rappresentato con pennellate d’autore durante la sua lunga carriera figure immortali del cinema, come Anna Magnani e Totò, si gode il meritato successo che sta riscuotendo in Argentina, esponendo su un altro personaggio icona del cinema: il regista Federico Fellini.

Perché una mostra-performance sul regista dei sogni?

Chirico all’Istituto italiano di cultura di Buenos Aires nel corso di una mostra-performance

“Perché Fellini è figlio del Novecento. Sentendomi anch’io figlio di quest’epoca, mi ha dato molto a livello culturale; la mia formazione è lì nel Novecento. Lui ha coltivato questa cosa magica, i sogni, dove tutti possono accedervi e che hanno la peculiarità che qualche volta si realizzano. Io sono uno di quelli che nella vita ha sognato molto e ho avuto anche la fortuna di vedere tanti miei sogni realizzati. Fellini, quindi, mi ha affezionato a questa sua dimensione e capacità di sognare”.

Quante opere compongono la sua ultima personale?

“Sono in tutto dodici opere e quattro di esse le ho composte in Argentina: una a Rosario al Museo Castagnino, una a La Plata al Macla (Museo de arte contemporáneo latinoamericano) e altre due, invece, sono state create nella Sala Roma dell’Istituto italiano di cultura di Buenos Aires. Non esiste però un’opera più importante di un’altra, perché ogni mia opera la amo molto. In questi lavori Fellini è al centro di tutto; mi è piaciuto rappresentarlo con cappello, sciarpone e passo svelto; le opere hanno tutte questa caratteristica a livello di immagine, si nota al primo sguardo, ma ognuna è composta pittoricamente in un modo diverso e con un fondo che cambia: qualche volta ho usato il colore oro o il nero, altre volte sia il colore sia la lamina d’argento. Ciò che che è interessante secondo me è l’impatto visivo con ogni opera, perché ognuna di esse stimola una sensazione di movimento”.

Calabresi residenti in Argentina hanno avuto l’opportunità di vedere la realizzazione delle sue opere dal vivo, come è accaduto anche a Buenos Aires. Qual è il suo metodo creativo?

A Buenos Aires, da sinistra, la curatrice della mostra-performance in Argentina del maestro Natino Chirico, Miriam Castelnuovo, insieme a Donatella Cannova, direttrice dell’Istituto italiano di cultura di Buenos Aires e con il pittore Chirico

“Hai un’idea precisa di cosa devi fare, però la maggior parte dell’ispirazione nasce lì sul posto coinvolgendo il pubblico. Ho svolto una performance che è stata organizzata in questo modo: ho preparato l’opera il giorno precedente su una tela e poi ho realizzato una sagoma; il giorno dopo o in quelli delle performance successive, ho assemblato le due preparazioni e le ho completate davanti agli spettatori presenti, schizzando con il colore le opere e mentre su uno schermo venivano proiettate le immagini con ogni fase del mio lavoro. E’ un’emozione molto bella sia per me che ho gli occhi addosso, sia per la gente che si rende conto come nasce un’opera d’arte. Le performance sono state sempre accompagnate da un’artista che ha suonato musiche tratte dalle colonne sonore dei film di Fellini. A livello sensoriale, durante la fase creativa, tutti i partecipanti percepiscono una serie di emozioni e in Argentina ho avuto un po’ la sensazione di stare in Italia, perché la nazione pullula di italiani; a Rosario, a trecento chilometri da Buenos Aires, vivono centosettanta mila italiani; a La Plata, cittadina a centocinquanta chilometri dalla capitale dell’Argentina, è residente una comunità massiccia di bivongesi e la scuola più importante, frequentatissima e ricercatissima, è ‘l’Instituto Bivongi’ che, come sapete, è il nome di un paesino in provincia di Reggio Calabria. Sono realtà che noi italiani dovremmo conoscere meglio. Lo sapevate che il più imponente teatro italiano, da 1.800 posti, si trova a Buenos Aires accanto all’Istituto italiano di cultura?”.

Com’è giunto allo sviluppo del progetto di portare la sua arte pittorica e il grande Fellini in Argentina?

“Lo devo anche, senz’altro, alla mia curatrice della mostra. Miriam Castelnuovo ha presentato il progetto all’interno delle Giornate dell’arte contemporanea, una rassegna artistica ideata dal Ministero degli esteri. L’idea è piaciuta, il progetto è stato approvato e sono stato invitato a realizzarlo in Argentina”.

Da sempre lei coniuga l’arte pittorica con il cinema. Cosa l’ha spinta a scegliere di seguire questa direzione?

Al museo di Castagnino, da sinistra, il console di Rosario Martin Broock, il direttore del museo di Castagnino a Rosario, Raul D'Amelio, la curatrice della mostra-performance in Argentina del maestro Natino Chirico, Miriam Castelnuovo e il pittore Chirico

“Ricordo molto bene: quando ero bambino mia madre mi dava cento lire e io compravo il biglietto per andare al cinema parrocchiale, nel quartiere Santa Caterina di Reggio Calabria. Allora vedevo i colossal e i grandi del cinema, come Ben Hur. A fine spettacolo uscivo dal cinema che mi sentivo l’eroe del film e avevo nell’animo questa voglia di coltivare la dimensione ispiratrice dell’arte cinematografica. Un giorno, per un’occasione di lavoro a Roma, che il Comune di Roma mi commissionò per i cento anni del cinema, mi impegnai a cercare di immaginare qualcosa che potesse essere rappresentativo con un’opera grafica; estrapolai da film importanti del neorealismo italiano delle scene che rappresentai su una tela, proprio per omaggiare e raccontare il cinema italiano; da lì in poi nacquero altre importanti opportunità di lavoro: a Napoli sui miti del cinema e sui suoi grandi personaggi come De Sica e Totò. Un po’ quindi perché ce l’avevo dentro e un po’ per caso ho iniziato ad avvicinarmi e ad affascinarmi a questo mondo, chiedendomi anche perché noi italiani ci siamo espressi in un modo così geniale all’interno del cinema. Abbiamo creato una scuola che è stata famosa nel mondo e mi sono chiesto come mai tanti registi hanno tratto ispirazione dalle opere d’arte per le loro scene da film? Io questo me lo sono chiesto spesso e mi sono anche domandato: perché l’opera d’arte non può prendere qualcosa dal cinema?”. 

Chi è stato il suo maestro?

Al museo Macla di La Plata, da sinistra, il responsabile del Dipartimento di Cultura del Consolato di La Plata, Riccardo Marola, la dottoressa María de las Mercedes Reitano, che tiene in mano il catalogo di Chirico, il pittore Natino Chirico, il console di La Plata Filippo Romano e Miriam Castelnuovo, curatrice della mostra-performance in Argentina del maestro Chirico

“Se devo pensare a uno o più esempi, che sono stati espressioni di qualità nell’arte pittorica, devo soffermarmi sulla scuola dei maestri napoletani che ho avuto la fortuna di conoscere al liceo artistico ‘Mattia Preti’ di Reggio Calabria; in particolare un maestro mi è rimasto nel cuore per il suo carattere e per la sua grande capacità: il maestro Ugo D’Ambrosi. Sono andato via giovanissimo dalla mia città natia per imparare e per perfezionarmi nel mio mestiere, avevo poco più di 17 anni, avevo il sogno di fare l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Poi, per amore, perché ho conosciuto una donna che è diventata mia moglie, mi sono trasferito a Roma per studiare all’Accademia di Belle Arti di Ripetta. Le mie opportunità per crescere artisticamente me le sono andate a cercare in giro, perché avevo come un magma lavico che spingeva dentro di me e che voleva uscire ma non trovavo sbocchi nella mia città”.

Che cosa la induce a scegliere nell’arte pittorica determinati contenuti e mezzi espressivi piuttosto che altri?

“La mia ricerca interiore, la diversità. Il pittore è un’artista che ha delle diversità interiori forti. Io ero un bambino difficile, ero uno che non parlava, balbettava, ero un introverso, ero uno di quelli che a Sparta l’avrebbero buttato giù dalla rupe. Poi, attraverso l’incontro con l’arte, ho sentito dentro di me un forte bisogno di esprimermi, di comunicare e ho iniziato una ricerca parallela di mezzi e contenuti con tanta tanta applicazione; sono uno che si sveglia la mattina e va in studio a lavorare e smette all’ora di pranzo e subito dopo il pomeriggio mi rimetto all’opera per finire la sera; questa è la mia vita ed è una vita forse un po’ difficile per chi mi sta vicino ma bella per quello che mi riguarda e spero che il Padre Eterno mi dia anche la gioia di morire in studio lavorando”.

In che direzione sta andando l'arte pittorica italiana?

“E’ un momento di grande crisi, un momento ‘sospeso’ mentre l’arte ha bisogno di chiarezza per essere realizzata. Per adesso va molto la pittura intesa come decorazione. In tanti improvvisano e cercano la trovata. Io credo, invece, in un percorso intimo e costante con i valori della pittura e nel saper fare il pittore: da come si prepara una tela al saper disegnare, alla tecnica dell’incisione e bisogna saper dare pure strumenti a chi usufruisce dell’opera d’arte per poterla leggere e giudicare”.

Si lavora meglio in Italia o all'estero?

Il pittore Natino Chirico all’Istituto italiano di cultura di Buenos Aires accanto a una sua opera sul regista Fellini

“Sicuramente all’estero, perché si ha un rispetto per il mestiere dell’artista che in Italia purtroppo non c’è. Come non c’è dal punto di vista giuridico la figura dell’artista. Una persona che sceglie di fare il pittore non ha diritto a pensione perché non c’è un albo, è una cosa pazzesca, noi proprio non siamo per niente considerati nel nostro Paese e se tu dici che fai il pittore la gente ti chiede: ’Ma come vivi?’. Purtroppo, così siamo considerati. All’estero, invece, il pittore è importante nella società e si ha rispetto per la figura dell’artista. Sono innamorato del mio Paese e credo che sia il più bel Paese del mondo ma bisogna rimettere al centro della società la cultura, sia quella che si studia sui libri, sia quella che si rappresenta attraverso le arti. Tutto questo, invece, è passato in secondo ordine, forse perché si pensa di poterne fare a meno ma non c’è una crescita sociale se non c’è una crescita culturale. L’arte e la cultura, a parte per fortuna qualche persona illuminata, non sono più al centro della società italiana. Eppure non c’è stato un grande della storia che non abbia utilizzato l’arte per rappresentare e comunicare e si arrivava persino al fatto di chiamare l’artista per chiedere consiglio”.

Con l’arte della pittura cosa si dovrebbe fare in Calabria di importante che negli ultimi tempi non è stato fatto?

“Ripristinare, intanto, le rassegne d’arte prestigiose che sono cadute nel dimenticatoio o che sono state eliminate; questi appuntamenti creano stimoli e conoscenze soprattutto per i giovani. Queste cose però hanno senso se hanno una programmazione e delle finalità. Che siano appuntamenti annuali o biennali strutturati. Le strutture non mancano: ci sono i licei artistici, le accademie, gli istituti d’arte, i luoghi pubblici spaziosi. C’è un potenziale enorme di gente sveglia, intelligente, creativa ma bisogna naturalmente creare occasioni perché tutto questo venga fuori. Basterebbe coinvolgere. Abbiamo italiani e calabresi sparsi nel mondo che sarebbero fortemente interessati a partecipare a questi eventi”.

E' vero che porterà a Reggio Calabria la sua mostra su Fellini e un'altra sua nuova mostra personale?

“Si potrebbe concretizzare nella primavera 2020 la realizzazione di due esposizioni: una in un palazzo istituzionale e un’altra all’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria. Se fosse così le dedicherei a mia madre che ha sempre creduto in me. Sarei molto contento, perché si creerebbero anche un paio di opportunità e di confronto con me per i giovani artisti. Io sono stato giovane e sentivo tanto il bisogno di confrontarmi con chi aveva avuto esperienze che io, anche da giovanissimo, non avevo ancora potuto avere”.

Quali temi stanno diventando fonte di ispirazione per le sue prossime creazioni artistiche?

L’opera d’arte sui campioni Gino Bartali e Fausto Coppi del pittore Natino Chirico

“Mi sta molto appassionando ultimamente il tema dello sport, perché nello sport vedo la solidarietà. Ho completato di recente un’opera, di due metri per due, che è quella scena quando Fausto Coppi e Gino Bartali si passano la borraccia, ma chi ha passato la borraccia? Coppi a Bartali o Bartali a Coppi? In realtà non si deve sapere chi è stato, perché qui c’è un esempio di quello che vuol dire essere grandi campioni: combattere per una vittoria ma essere amici, aiutarsi, perché lo sport è anche questo, è solidarietà, è esempio di vita e nelle discipline sportive ci sono diversi valori fantastici che mi attraggono molto. Un altro tema che mi piacerebbe trattare nei miei futuri quadri è la bellezza del Mediterraneo; è stato la culla della civiltà nel mondo, noi veniamo da lì!”.