Friday, 16 May 2025

Battaglia sullo Stretto

L’abbiamo evocata. La volevamo qui per farla conoscere a chi non sapeva chi fosse, le abbiamo dedicato il corso di antropologia visiva, abbiamo ideato un programma per RAI Radio 3 attorno a una sua sola immagine, abbiamo contattato la fondazione che porta il suo nome per capire come portare una sua mostra a Reggio.

Ma Letizia Battaglia, la fotografa siciliana che scosse il mondo con le sue potenti immagini, la prima persona italiana e la prima donna europea, a ricevere, nel 1985, il premio Eugene Smith, l’Oscar internazionale del fotogiornalismo sociale, stava già percorrendo altre strade per raggiungere la Calabria. Dopo qualche mese, infatti, le sue fotografie si affacciavano al mare dello Stretto, alla Sicilia, al mondo.

Non credo ci sia luogo più appropriato di questo lungomare toccato dalla grazia, di questo lembo di mare che separa e unisce il continente europeo e la Sicilia per mettere in scena le sue opere, per di più nude, a cielo aperto, senza barriere e senza confini. Le due parti della penisola s’incontrano e si scontrano proprio qui, con i due mari che fremono, cambiano colore, biancheggiano, mulinellano sull’abisso, producono visioni, miraggi e Fate Morgane con un vulcano attivo a far da sentinella, e terra, acqua, aria e fuoco in un unico sguardo ad abbracciare la Sicilia. Quella che Letizia Battaglia ha fotografato, amato, odiato, quella che ha guardato negli occhi con coraggio, da vicino, inginocchiandosi davanti ai morti ammazzati, catturando col grandangolo lo sguardo feroce del pericoloso latitante ammanettato, cercando grazia e sogno negli occhi delle sue bambine. Una donna che seppe catturare col suo apparecchio fotografico, l'inizio degli anni di piombo, con i delitti di mafia che insanguinarono Palermo, fondendo bellezza e orrore, miseria e splendore, insieme alla conturbante decadenza della sua città.

 Qualcosa che va oltre la cattura del momento decisivo, quello in cui, secondo il fotografo francese Cartier Bresson la realtà si svela al fotografo in grado di riconoscerla. Ossimoro vivente, una donna che contiene nel suo stesso nome grazia e forza, gioia e combattimento, ma soprattutto combattente lei stessa, un cognome che è verbo attivo, azione, Letizia Battaglia, a questo momento decisivo venne spesso chiamata, calamitata, attratta con urgenza. Non solo perché era il suo mestiere di fotoreporter da quando, nel 1974, Vittorio Nisticò direttore del quotidiano l’Ora di Palermo, la chiamò a dirigere il settore fotografico e quindi doveva arrivare al più presto sul campo, proprio sul campo di Battaglia di quegli anni terribili e non solo perché trovarsi nella mischia, sentirsi in guerra in quegli anni non era privilegio di pochi.

Ma perché Letizia Battaglia era connessa con la sua storia personale di riscatto, con il suo impegno militante e con la sua urgenza di verità che la lanciava ben aldilà del dovere di cronaca, era empaticamente collegata alla realtà circostante, anche la più inaccettabile e crudele, una realtà che poteva rivelarsi pienamente anche a distanza di anni.  Il caso più eclatante fu quello del 6 gennaio 1980, quando Letizia Battaglia si trovò sul posto appena qualche minuto dopo che il presidente della regione Piersanti Mattarella venisse ucciso alla guida della sua auto. Con la vertigine che accompagnava quei momenti, introdusse il suo apparecchio fotografico nell’abitacolo dell’automobile attraverso il finestrino e nella fotografia il corpo senza vita veniva estratto pietosamente da un uomo che era suo fratello. Una immagine, un messaggio che mostrò per intero tutta la sua potenza solo molti anni dopo, quando quell’uomo, Sergio Mattarella, divenne Presidente della Repubblica italiana.

Anche quella fotografia insieme alle altre scelte dal curatore Paolo Falcone è stata qui sullo Stretto, perfettamente incastonata nello scenario che l’ha accolta. Una mostra fortemente voluta dalla Soprintendente di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia ad interim Maria Mallemace che, dopo aver visto lo stesso allestimento a cielo aperto a Roma alle Terme di Caracalla, lo ha arditamente immaginato sotto questo cielo, dove la mostra si è materializzata da novembre a febbraio, e che ora analizziamo a freddo. <<Un progetto complesso che abbiamo portato a termine con successo solo grazie all’ottimo lavoro di tutto lo staff – mi spiega la sovrintendete nel suo ufficio di Reggio.  

Promossa dal Segretariato Regionale per la Calabria– Ministero della Cultura con il supporto e con tributo dell’Autorità di Gestione del PON Cultura e Sviluppo (FESR) 2014-2020, Segretariato generale Servizio V, e organizzata da Electa in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e la Fondazione Falcone per le Arti, la mostra è stata curata da Paolo Falcone. <<Una sinergia che abbiamo potuto mettere a sistema, con l’autorità di gestione del Dottor Nicola Macrì, legando cultura e legalità, elementi che sono fortemente espressi dall’opera di Letizia Battaglia. Invece di essere chiuse in un museo, immaginavamo le sue immagini completamente “esposte”, un ponte culturale tra Calabria e Sicilia, per un’apertura completa e gratuita dell’esposizione, cosa che non è mai avvenuta prima d’ora. La popolazione ha risposto in modo eccezionale, con partecipazione attiva e messaggi, comprese tutte le scuole del reggino e dintorni.

Un evento di arte pubblica che ha permesso a cittadini e turisti, a centinaia di studenti, di immergersi letteralmente nel mondo di questa straordinaria artista, connotato dal suo forte impegno civile. Vedere gli appassionati di fotografia, ma anche famiglie, sportivi, ragazze in bicicletta, pensionati, bambini, persone che non frequentano abitualmente musei o mostre d’arte, affollare la sua mostra a tutte le ore del giorno e della notte, è stata una soddisfazione impagabile e grande motivo di orgoglio per tutto il segretariato.>> Il titolo, Letizia Battaglia senza fine, sembra poi essere stato ideato proprio per questo sguardo sull’infinito, potenziato anche dal tipo di allestimento “trasparente” ispirato a quello che l’architetta Lina Bo Bardi (1914-1992) ideò nel 1968 per la collezione d’arte del MASP-Museu de arte de São Paulo in Brasile.

Proprio influenzata dalla natura lussureggiante del paese che amava, l’architetta sospese pitture di artisti come Van Gogh e Botticelli su lastre di cristallo piantate in blocchetti di cemento per favorire una libera fruizione contemporanea di tutto l’insieme, creando una “foresta di opere d’arte” nella quale il pubblico si sarebbe trovato a camminare. Per l’Arena dello Stretto, come già per le Terme di Caracalla a Roma, i supporti rimandano proprio a quella foresta sospesa, con 52 fotografie bifacciali di grande formato, per un’installazione aperta, non cronologica o gerarchica, nella quale le fotografie sembrano fluttuare, colte sul punto di spiccare il volo verso la Sicilia. Sebbene quella di Battaglia sullo Stretto sia una esperienza artistica di valore irripetibile, con l’acquisizione di questa installazione, la sovrintendenza si dota di strutture mobili in grado di trasformare un magnifico spazio pubblico, in una sede espositiva unica al mondo, pronta ad ospitare altre “foreste di immagini”.

Pensiamo che Letizia Battaglia avrebbe gradito questo omaggio calabrese, in una Reggio che fu sorella della sua Palermo per bellezza e dolore in quegli anni insanguinati, e che già l’ospitò negli anni Novanta nell’aula magna dell’Accademia di Belle Arti, dove, a sigillo dell’esperienza della mostra, abbiamo accolto, a partire da un’idea di Emanuela Buscemi studentessa in Accademia e con l’entusiasmo del Direttore Piero Sacchetti, il curatore Paolo Falcone per una conferenza aperta alla città.

Ora che le fotografie sono volate via, verso Aosta, Santiago del Cile, Parigi, Torino, insieme al docente di Fotografia Davide Negro, che ha coordinato l’evento, abbiamo conosciuto più a fondo la genesi delle sue immagini, ci siamo fatti rapire dagli occhi profondi e scuri della sue bambine, della bambina con il pallone, un’Athena seria e consapevole che tiene il suo destino in bilico sul palmo della mano, e soprattutto abbiamo visto quelli chiari, così colmi di umanità, di Letizia nel film di Maresco La mia Battaglia. Questo omaggio carico di affetto inizia con una fotografia che la ritrae, unica donna in un gruppo di fotografi maschi, di fronte al corpo di un uomo ammazzato per strada, in una pozza di sangue: mentre gli altri, in piedi, fumano e cambiano il rullino, Letizia è l’unica persona in ginocchio di fronte al morto, assorta, presente, commossa.

La sua fotografia comprenderà tutto questo e sarà l’unica a passare alla storia. “Forse tu mi vuoi far dire che la mafia ha vinto, che non c’è speranza, - dice a Maresco nell’intervista – è vero abbiamo perduto, ma io non posso…io non voglio accettarlo, per questo faremo sempre la nostra parte, la mia piccola parte, faremo grandi e piccole cose, ma le faremo.” Insieme.

 

(Per l’ascolto del programma RAI Radio 3 La bambina con il pallone di Patrizia Giancotti https://www.raiplaysound.it/audio/2024/01/Wikiradio-Le-voci-della-storia-del-23012024-74aed2b0-a183-41f0-9a2a-1bdcc1c47cf1.html)

Le fotografie fanno parte del contest ideato dall’Accademia al quale hanno partecipato gli studenti / fotografi Carmelo Ventura, Chiara Terzi, Domenica Fortugno, Domenico Ariganello, Jasmine Iannì, Joel Blue Pellicanò.