Friday, 25 October 2024

Pop e Street Art occupano Reggio Calabria

Il professore Francesco Scalò intinge il pennello nel rosso e traccia un segno spesso sulla parete bianca. Da questo gesto primario, con la compartecipazione

del Direttore Pietro Sacchetti e dei proff. Domenico Michele Surace, Davide Scialò, Davide Negro, Pierfilippo Bucca, Pietro Colloca, ha preso il via la trasformazione dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria in galleria espositiva pronta ad accogliere celebri opere di Andy Warhol, Keith Haring, Banksy, e altri artisti, per la grande mostra Pop to Street Art: Influences, aperta fino al 3 novembre.

Il rosso, che ben presto ha coperto parete, corridoio e porte, sconfinando in tessuti dello stesso colore, sembra essere stato prelevato direttamente da una lattina di zuppa Campbell, una delle dieci esposte in forma di manifesto, così come fu concepito da Andy Warhol. Già si vedono al di là delle tende, rosse anch’esse, che aprono il percorso, mentre il profilo enigmatico dell’artista attende il visitatore dietro il primo angolo nell’opera The shadow.

Sono oltre 170 le opere, originali e after, tra manifesti, disegni, sculture, film, opere pittoriche, litografie, serigrafie, che occupano letteralmente la città di Reggio Calabria nelle tre sedi preposte, l’Accademia, appunto, Palazzo della Cultura P. Crupi e, con tre opere, il Museo Archeologico Nazionale. “Abbiamo voluto coinvolgere l’intera città in una operazione senza precedenti – spiega il Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria Pietro Sacchetti, che insieme alla Presidente Maria Cerzoso ha fortemente voluto la mostra.

“Con questo allestimento multicentrico l’Accademia, come ente organizzatore in collaborazione con la Città Metropolitana di Reggio Calabria, ha voluto proprio creare una sorta di museo diffuso che permettesse al pubblico di intraprendere anche fisicamente un percorso esperienziale, immergendosi completamente nel variegato mondo della Pop Art e della Street Art attraverso la conoscenza dei suoi autori più rappresentativi”.

Il curatore della mostra, il belga Jean-Christophe Hubert, illustre storico dell’arte, anche curatore della Fondazione Picasso di Parigi e di importanti esposizioni a lui dedicate, ha tenuto a sottolineare l’unicità di questo allestimento mai presentato in Italia, nel quale tutte le opere presenti provengono da collezionisti privati, francesi e belgi. Con la sua speciale ammirazione per la Calabria, terra d’origine della moglie, Hubert ha apprezzato particolarmente lavorare a stretto contatto con professori e studenti, e ha condiviso il suo entusiasmo con l’exhibition manager Domenico Michele Surace, docente di Storia dell’Arte in Accademia. “Con questa mostra l’Accademia si fa promotrice di qualcosa di assolutamente nuovo – afferma Surace, che vede in essa una maniera per unire le generazioni e per promuovere “un abbraccio fisico e anche concettuale alla città, per un confronto inedito sui temi dell'arte.”

Secondo il docente che ha seguito tutte le fasi della curatela e dell’allestimento “fenomeni di rottura come quelli della Pop Arte e della Street Art non nascono per morire in un decennio, ma sorgono per essere reinterpretati e lanciare i loro messaggi attraverso il tempo”. Le icone degli anni Sessanta e Settanta, che a suo tempo avevano infatti la forza di attrarre al mondo elitario dell’arte soggetti con interessi diversi, sono da inquadrare nella prospettiva odierna, anche per l’influenza che hanno avuto su artisti successivi, come quelli in mostra. “In Accademia possiamo seguire lo sviluppo di questo processo, dalle opere di Andy Warhol agli ultimi street artists, un percorso che continua e ci indica come quel seme sia germogliato in modi diversi, tanto che oggi se ne raccolgono altri frutti.”

Come, ad esempio, quelli che ci parlano del male generazionale degli anni Ottanta, che possiamo riconoscere nei lavori finali del geniale e ipercinetico Keith Haring al Palazzo della Cultura, raggiungibile in bus senza pagare il biglietto, ma mostrando quello d’ingresso alla mostra. Nelle dieci opere dell’enfant terrible della Street Art, ecco il decorso della forte esplosività che nasconde dietro l’allegria smodata dei suoi colori, i temi della fine e della morte, nel momento emotivo più museale dell’intero allestimento, dove l’esperienza collettiva ritorna al male di vivere individuale.  

Una mostra fatta apposta per essere iniziata da dove si vuole, per una summa di esperienze che passa anche dal Museo Archeologico Nazionale, con tre opere sintomatiche che stimolano un confronto allettante con l’antico. Per ritornare all’Accademia, proprio il luogo interdetto a questi antiaccademici per vocazione. Militanti dell’arte, dissacratori, artisti di strada che hanno iniziato a lasciare il segno nelle loro città agendo incappucciati, nottetempo, in maniera clandestina, armati di bombolette spray e scale, occupando muri, metropolitane, fabbriche dismesse, conquistando spazi, riscattando periferie degradate, con opere di denuncia, popolate da topi intelligenti e altre creature. Eversivi, pacifisti, antirazzisti, diventano commentatori pop delle più varie vicende del mondo e infine accedono ai musei più prestigiosi e a quotazioni stratosferiche, trasformando i connotati teorici, stilistici ed economici dell’arte mondiale. 

“Un paradosso davvero stimolante” secondo Daniele, uno dei ragazzi che accoglie il pubblico. Ecco l’altra novità: una decina di studenti ed ex studenti dell’Accademia si sono uniti nell’associazione O.C.R.A. e, contrattualizzati da partner addetto al ticketing, si occupano, appunto, della biglietteria, dell’accoglienza e di percorsi informativi. Responsabilizzati, hanno avuto l’opportunità di prendere visione delle dinamiche di allestimento fin dai primi momenti, dopo essere sono stati formati per poter offrire al visitatore una esperienza culturale emozionante e di spessore.

“Abbiamo potuto avvicinarci così ad alcuni dei tanti mestieri dell’arte – spiega Dario – con la possibilità di collaborare fianco a fianco con curatori del calibro di Hubert.” Alcuni di loro hanno sviluppato l’esigenza di approfondire maggiormente alcuni autori, altri si sono resi conto dell’enorme lavoro che sta dietro una esposizione come questa e altri come Marica, hanno “provato il brivido di toccare con mano opere famosissime e di grande valore”.

L’aspetto didattico si allarga poi a tutte le fasce d’età, con inviti specifici e diversificati a tutte le scuole, corredati da pacchetti didattici predisposti da curatore ed exhibition manager proprio per l’occasione, e presto da esperienze laboratoriali anche per i più piccoli, a cui si uniranno laboratori tematici legati alle specifiche tecniche utilizzate dagli artisti, serigrafia, incisione, scultura e altro, in modo da coinvolgere i visitatori dalla comprensione profonda all’attuazione di opere.  

Fino alla fine della mostra, e pare che per la sua straordinarietà verrà prorogata, Reggio Calabria sembra essere, dunque, una città occupata dall’arte a vari livelli, con un'operazione in perfetto stile pop, inedita, multi-sfaccettata e coraggiosa, messa in campo dall’ Accademia per una città magnifica e problematica. Città che spesso sembra necessitare di un risveglio culturale, tanto da suggerire l’acronimo OCRA all’associazione degli studenti che sta per Obbiettivo Culturale Risveglio Artistico.

Qui siamo all’occupazione, al circondamento, all’abbraccio, come suggeriva Surace, che in fase di ideazione pensò proprio al colonnato del Bernini. Abbraccio che vale soprattutto per gli studenti che “convivono” con queste opere e, tra una lezione e l’altra, possono immaginare il sapore della zuppa al pomodoro, guardare negli occhi la Regina Elisabetta e Topolino, riflettere di fronte alla “Electric chair”, salutare Marylin nella sua serie completa, esporsi alle contagianti radiazioni energetiche di Haring o lasciare andare il cuore, come “La ragazza con il palloncino” di Banksy.