Maico Campilongo 45 anni, da sedici vive a Palo Alto (California), nell'angolo nord-occidentale della Contea di Santa Clara, nella San Francisco Bay Area, culla di grandi colossi come Facebook, Hp.
Vicino di casa di Laurene Powell, moglie di Steve Jobs, per intenderci Maico si trova nel cuore della Silicon Valley, ed è un imprenditore di successo. Nato a Verbicaro, cresciuto a Scalea, dopo un approccio di carriera come informatico a Trento e con un contratto a tempo indeterminato, decide di mollare tutto e fare un salto, non completamente nel buio, a Palo Alto. Lì, già il fratello Franco era impegnato nel campo della ristorazione; ma con un visto da studente e tanta voglia di futuro, Maico inizia la sua ‘esperienza americana’ come lavapiatti prima e cameriere dopo. Sana ostinazione, esperienza e indiscusse capacità lo spingeranno a fare un investimento importante. Una pizzeria, un ristorante e un legame indissolubile con la Calabria e con il ‘Made in Italy’ sono i risultati del suo impegno. Italico e Terun sono i nomi delle sue attività, inaugurate a poche centinaia di metri l’una dall’altra, e che rappresentano un’eccellenza della ristorazione della west coast.
Dalla Calabria alla California e un brand nella ristorazione americana. Qual è stato il segreto del suo successo?
“Non so se ci sia realmente un segreto. Io penso di aver intuito in tempo cosa sarebbe successo al sistema Paese, ed in particolar modo alla Calabria. La mia breve esperienza politica, da amministratore, oltre dieci anni fa, mi ha dato la possibilità di capire da una prospettiva privilegiata che quello che volevo per il mio futuro, non lo avrei potuto trovare dentro i confini nazionali. Fare impresa e creare business sarebbe stato quasi impossibile. Così, una volta arrivato a Palo Alto, con sacrifici e una discreta dose di coraggio, insieme a mio fratello, siamo riusciti a mettere insieme mattone dopo mattone, due grandi realtà imprenditoriali. Terun e Italico. Con organizzazione e un buon lavoro di squadra qui, si possono ottenere grandi risultati.”
Oltre la ristorazione i fratelli Campilongo sono famosi per il loro impegno sociale. Perché?
“Abbiamo creato una squadra di ciclismo. Ovviamente si chiama Terun, ed esiste una compagine anche in Calabria. Quest’anno abbiamo organizzato una Gran Fondo a Scalea, e abbiamo portato dalla California oltre 100 corridori, per far conoscere attraverso il ciclismo le bellezze della nostra terra. Ogni anno inoltre, partecipiamo a una raccolta fondi per la ricerca contro il cancro, che si chiama Canery Challenge. E da tre anni a questa parte partecipiamo al Bike Relief: ogni anno compriamo bici a medici e privati cittadini in Etiopia per spostarsi e portare assistenza a popolazioni bisognose. Si tratta di bici rinforzate per portare più persone e per far fronte al terreno e a strade non propriamente transitabili.”
La Calabria le manca e conta di tornarci?
“La Calabria mi manca e ci torno tutte le volte che posso. Sono profondamente innamorato della Calabria. Ho degli affetti ai quali non rinuncerei mai al mondo. Ma adesso sono anche americano, e mi piace quello che faccio in California. Ritornare a vivere in Calabria, sinceramente non lo so. E non è una domanda che mi pongo oggi.”
Italico e Terun, due nomi che si caratterizzano per la forte accezione Made in Italy…
“Terun nasce per una forma di rivincita sociale. Il mio professore Ciro Cosenza, luminare storico originario di Diamante, mi disse che per conoscere l’Italia di oggi si doveva conoscere la storia dell’unità d’Italia. E il fenomeno del brigantaggio mi aiutò tantissimo a sviluppare questa forma di riscatto, di rivalsa, degli uomini del sud. Italico è frutto della storia. La Calabria ha dato il nome all’Italia. Gli italici erano nient’altro che quella popolazione che arrivava dalla Grecia - chiamati originariamente vituli - e che stazionavano nella zona del catanzarese. Quindi gli italici sono i nativi calabresi.”
C’è qualcosa che non ha fatto e che vorrebbe fare, o viceversa, ha fatto qualcosa di cui si è pentito nel corso di questi anni ‘americani’?
“Non ho fatto nulla per cui dovrei fare ammenda. Perché fortunatamente ho fatto scelte, anche se rischiose, che mi hanno portato ad essere quello che sono e a realizzarmi professionalmente. Ma c’è qualcosa che non ho fatto fino ad oggi. E ci sto provando in quest’ultimo periodo. Ossia creare rapporti e legami più intensi con la Calabria. Anche di questo ho parlato con il Presidente Irto. A volte mi rammarico perché non si riesce a fare rete o in qualche misura, non si riesce a creare relazioni efficaci tra realtà oltreoceano e realtà calabresi. Sto lavorando anche per questo.”
A tutti gli emigrati che come lei, per scelta, decidono di andar via dalla Calabria, cosa si sente di suggerire?
“Partire per cercare un futuro altrove, lontano dalla propria terra e dai propri affetti non è mai facile e non c’è una formula magica che ti indica la soluzione vincente. Ma quello che posso consigliare spassionatamente ai giovani calabresi è: “Muovete il culo. Andate. Sono un grande sostenitore del ‘movimento’. Tommaso Campanella ha viaggiato. Ha vissuto a Roma, Parigi, e a quei tempi era difficile spostarsi per tutti quei chilometri. Se fosse rimasto in Calabria, forse non sarebbe diventato Campanella. Ma è fondamentale conoscere nuove lingue e nuove culture. Capire il mondo. Ai ragazzi calabresi suggerisco di conoscere nuove frontiere. Devono sganciarsi dall’abitudine di vivere alla giornata ma dovrebbero investire il loro tempo concertando il futuro di cui hanno bisogno guardandosi attorno. E poi con un bagaglio pesante, ricco e variegato, potrebbero ritornare in Calabria per realizzare quei sogni che prima di partire sembravano chimere.”