L’autore è Enzo Ciconte, docente di Storia delle mafie italiane all’Università di Pavia e Roma Tre, si cimenta ormai da anni editorialmente in analisi specifiche e dettagliate che riguardano gli sviluppi, i cambiamenti e i legami di potere delle varie arterie della criminalità organizzata italiana.

Ciconte, nato a Soriano Calabro, è tra i primi autori italiani ad occuparsi di ‘ndrangheta. Molto conosciute sono le sue pubblicazioni “La ‘ndrangheta dall’Unità ad oggi, Laterza 1992”, “Politici (e) malandrini, Rubbettino 2013” e “Borbonici, patrioti e criminali. L’altra storia del Risorgimento, Salerno 2016”.
Il suo è un manuale di resistenza civile che restituisce un invito alle giovani generazioni perché dalla conoscenza possa nascere un futuro di riscatto.
Ben sessantanove “mini capitoli” cadenzati da un linguaggio divulgativo e narrativamente avvincente, consentono di comprendere nitidamente il fenomeno mafioso in tutte le sue articolazioni. Enzo Ciconte, attraverso il saggio “Mafie del mio Stivale”, riesce a tracciare nonsoltanto una ‘road map’ di una storia criminale che si evolve e diventa reticolare nel tempo, ma riesce a consegnare la consapevolezza che si tratta di una storia di potere che allunga i tentacoli inevitabilmente sulla sfera politica, istituzionale e imprenditoriale. Un legame tutt’altro che serafico e senza il quale non esisterebbe uno sviluppo e un’attività stanziale in Italia da parte della criminalità organizzata da oltre due secoli a questa parte.
Le mafie, contraddistinguendosi semioticamente in base alla ritualizzazione di eventi e di codici, da formule oscure e quasi sempre incomprensibili, sono accomunate da un qualcosa di misterioso, inafferrabile e di impalpabile. Questo “fil rouge” è la costruzione chiave del testo,perché su questi momenti dall’alto valore simbolico vengono agganciati fatti e passaggi storici fondamentali per contestualizzare temporalmente le fasi evolutive della ‘mafia’, intesa come fenomeno storico e sociale che ha pervaso i tessuti economici ed imprenditoriali attraverso il concorso della politica.
Non di secondaria importanza è la capacità dell’autore di evidenziare come i mafiosi, agli albori della loro ribalta, si caratterizzavano con una matrice di “efferati assassini, criminali e stragisti” rappresentando un potere arcaico e di basso livello; invece, nel corso degli ultimi decenni, hanno sviluppato una particolare propensione a creare consenso, fare cultura e addirittura a proporre stili di vita alternativi. Stili di vita alternativi anche al buon senso. C’è stato e c’è tutt’ora, sottolinea Ciconte, un discreto successo nell’esportare il marchio della mafia all’estero come un brand o una griffe da offrire al mercato mondiale, in particolare a quello americano. Infatti, senza vergogna alcuna, esistono oltreoceano negozi, locali pubblici, etichette, canzoni o ristoranti che richiamano il termine e il significato della ‘mafia’.
Anche da qui nasce la necessità di Enzo Ciconte, quasi come strumento di prevenzione, di studiare tutte le mafie, e far scendere i mafiosi dal piedistallo attraverso una conoscenza approfondita del fenomeno partendo dalle radici antiche per poterlo meglio contrastare.