Una struttura bella, imponente e praticamente pronta che sarà consegnata a luglio, ma che rischia di non poter entrare in funzione per la mancata assunzione del personale necessario.
È la beffa che pende come una spada di Damocle sulla residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza realizzata a Girifalco, nel Catanzarese. La struttura riabilitativa per persone socialmente pericolose, pensata per due moduli da 20 posti ciascuno, si aggiungerà a quella già operativa di Santa Sofia d’Epiro nel Cosentino. Nessuno però sa ancora quando e il garante regionale dei detenuti, Agostino Siviglia, incalza il commissario ad acta per il Piano di rientro, Guido Longo, affinché convochi quel tavolo tecnico immaginato proprio per accelerare i tempi. L’idea è chiusa nel cassetto da più di un mese ovvero da quando, il 20 aprile scorso, l’operatività di una struttura costata sei milioni di euro fu affrontata congiuntamente dalle commissioni che in Consiglio regionale si occupano di sanità e lotta alla ’ndrangheta. In pratica, l’Azienda sanitaria provinciale del capoluogo di regione ha fatto tutto ciò che doveva, la consegna è a un passo, ma le esigenze dei 54 soggetti in lista d’attesa scalpitano. In Calabria, ad esempio, sono ancora tre le persone prosciolte, perché non imputabili, che restano in carcere illegalmente proprio per carenza di posti in strutture adeguate. Un dramma nel dramma che la struttura di Girifalco potrebbe alleggerire se soltanto alla consegna di luglio si arrivasse pronti con le assunzioni. «Per rendere operativo almeno il primo modulo da 20 - ci dice proprio il garante regionale per i detenuti - urge costituire una pianta organica di 50 unità tra medici, infermieri, amministrativi e assistenti sociali».
Quella lanciata da Siviglia è dunque una corsa contro il tempo nel timore che la struttura possa rimanere intrappolata tra le maglie di una burocrazia troppo lenta. Sullo sfondo di una regione che il garante bolla come «responsabilmente in ritardo» c’è dunque il recupero di persone socialmente pericolose da curare per concretizzare la ratio che portò alla chiusura dei manicomi e alla fine dei cosiddetti ergastoli bianchi. Sì, perché la vera mission delle Rems è proprio quella di scommettere sul recupero dei soggetti ospitati. Ecco perché in tali strutture nessuno può rimanere un giorno in più rispetto al massimo della pena edittale alla quale sarebbe stato condannato per il reato commesso se capace di intendere e volere.
Di certo c'è che la legge impone la verifica periodica delle condizioni di salute e che le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza non contemplano il rischio del sovraffollamento. Sarebbe una condizione incompatibile con i problemi di soggetti socialmente pericolosi che lo Stato non tratta più come persone irrecuperabili. Da qui l’urgenza di «partire almeno con l’attivazione di uno dei due moduli». Questa la premura del garante regionale dei detenuti che, pur di non perdere tempo, sposta in avanti le lancette di un’eventuale diversificazione che, in base alle esigenze, in futuro potrebbe fare delle Rems di Girifalco un posto non aperto soltanto agli uomini. Sono i dati a dire che restituire a queste persone la dimensione affettiva fa la differenza ed è per questo che un calabrese non sarà ospitato in una Rems del Veneto. Ma le richieste sono tante e così Siviglia insiste su un iter che porti a regime la residenza entro un anno o un anno e mezzo convinto com’è che ciò «garantirebbe un importante alleggerimento di liste d’attesa in costante aggiornamento». Il garante calabrese dei detenuti oltretutto getta il cuore oltre l’ostacolo e ricorda anche come, «nelle more di un’eventuale espansione e con l’obiettivo di salvaguardare quell’affettività che in questi casi è un elemento imprescindibile, la Rems di Girifalco preveda finanche la realizzazione di una sorta di dependance adibita a ospitare i familiari dei degenti in visita». Lo fa sottolineando peraltro l’importanza di «una modifica legislativa rispetto all’imputabilità o inimputabilità» come pure della «presa in carico territoriale da parte del dipartimento Tutela della salute con forma di residenza differenti che possano comunque contenere persone non particolarmente pericolose».
Gradualità, in sostanza, è la parola d’ordine di un garante che spinge affinché gli enti locali siano davvero messi nelle condizioni di garantire alle persone incapaci di intendere e di volere «un progetto e un percorso terapeutico adeguato che possa effettivamente migliorare le condizioni relazionali di chi non può e non deve essere abbandonato a se stesso». Ma se il futuro preme, il presente soccombe sotto i colpi di quella mancata convocazione del tavolo per la quale Siviglia sollecita il commissario ad acta per il Piano di rientro. È a Guido Longo che peraltro compete pure autorizzare le procedure a evidenza pubblica che poi dovranno essere portate avanti dal dipartimento Tutela della salute che, a sua volta, delegherà l’Asp allo svolgimento di quell’attività pratica da completare per reclutare il personale e chiudere il cerchio.