
Il maggio scorso, Sofia Corradi, in occasione della 'Giornata dell’Europa', ha ricevuto il prestigioso 'Premio Carlo V' per il suo lodevole operato a favore della 'costruzione europea'. Un passaggio che ha cambiato gli studi universitari e le prospettive di vita di tantissimi giovani europei. La consegna ufficiale spettò a Filippo VI Re di Spagna ed al Presidente del Parlamento europeo, allora Martin Schulz.
Che emozioni ha provato alla notizia che sarebbe stata premiata per il suo contributo alla “costruzione europea”, come madre e fondatrice di ‘Erasmus’?
La definizione di ‘mamma Erasmus’ mi ha commosso assai. Per il 'Premio Carlo V', posso dirle che sono onorata, onoratissima. Al di sopra di questo, c’è solo il Premio Nobel: un’incredibile soddisfazione. Un anno fa, un’istituzione europea che io assolutamente non conoscevo - la Fundacion Academia Europea di Yuste - mi contattò dicendomi che sarei stata candidata ad un premio: “Ci mandi il suo curriculum”. Per diversi mesi non ebbi notizie in merito a questo premio e pensai - “Come al solito lo hanno conferito ad uno dei soliti onnipotenti”. Invece, ad un certo punto, mi arrivarono diverse lettere da questo istituto comunicandomi e chiedendomi se, qualora la giuria avesse deciso di premiarmi, fossi stata disposta ad accettare il premio. Pensavo fosse uno scherzo, perché è ovvio che lo avrei accettato. Chi non lo avrebbe accettato! Un’emozione unica ed indescrivibile. Mi comunicarono che sarei stata premiata dal Re di Spagna Filippo VI, per ilmio contributo alla costruzione europea. Alla presenza del Presidente del Parlamento europeo Schultz e alla presenza di decine di ambasciatori e ministri europei, invitati solo ed esclusivamente per festeggiare e omaggiare me.
Cosa le è rimasto più impresso del premio conferito dal Re di Spagna?

Erasmus nacque davvero per rabbia o si tratta di una “forzatura” giornalistica?
Assolutamente sì. Erasmus nacque per rabbia! Cominciai una battaglia, nel 1969, che terminò diciotto anni dopo, infatti, vide la luce ufficialmente solo nel 1987; ma andiamo per gradi. Nel 1958 ero una studentessa del quarto anno di Giurisprudenza dell’Università di Roma - non si chiamava ‘La Sapienza’ perché allora era l’unica università della capitale. Vinsi una borsa di studio alla Columbia University di New York. In quell’anno mi divertii un mondo, vissi una situazione ideale per una giovane studente: studio, divertimento e follie, in quel tempo, nella città capitale del mondo. Dunque, dopo studio, divertimento e follie, tornai a Roma con un Master in Diritto Comparato.

Come nacque fattivamente il programma Erasmus?
Mentre gli altri miei colleghi laureati dovevano andare a cercarselo il lavoro, io no. Erano i datori di lavoro che cercavano me. Incredibilmente, e con una facilità quasi imbarazzante, cambiavo lavoro velocemente, e senza essere finti idealisti, talvolta anche in base ai compensi più alti che mi venivano offerti. Ma questo stato di cose mi fece maturare l’idea che l’anno di studio all’estero, immersa in un’altra cultura, mi giovò in una misura considerevole, di cui solo allora mi stavo rendendo conto. E se fece così bene a me una simile esperienza, pensai che non doveva essere un privilegio riservato solo a me. Ragionai - “Deve essere un’opportunità a disposizione di tutti”. Quando si è giovani il mondo così com’è non ci piace, quindi, con baldanza giovanile, con la consapevolezza che studiare all’estero a quel tempo era una cosa solo per ricchi, e nell’era in cui iniziava a ribollire la contestazione studentesca, cercai di tramutare la mia rabbia in qualcosa di rivoluzionario. E’ vero che la mia rabbia durò quasi vent’anni, ma ne valse la pena. A trent’anni ero già diventata niente meno che la consulente per le relazioni internazionali' dell’'Associazione dei rettori italiani'. Quindi avevo occasione di conoscere tutti i rettori delle università europee e qualche rettore di università extra-europee. Tutti gli agganci e tutte le entrature li sfruttai per far sì che il privilegio di pochi diventasse un’opportunità offerta a tutti. Cominciai nella maniera più ovvia: convocavo riunioni di rappresentanza tra i rettori italiani e i rettori di tutta Europa. Partendo dalla costatazione che, tutto sommato, gli studenti si preparavano all’esercizio delle stesse professioni nei paesi europei, ponevo in evidenza il ‘molto’ che avevano in comune due percorsi di studi universitari di Stati diversi.

Diciotto anni di battaglie, quali furono gli ostacoli più grandi?
Stiamo parlando degli anni ‘60/’70, nel mondo imperversava la guerra fredda e i contatti erano difficili. Sia dal punto di vista diplomatico che logistico. Nel 1969 per incontrare i rettori europei, soprattutto quelli francesi e quelli della Germania occidentale, si dovevano fare molte ore di treno. In queste lunghe ore e in questi interminabili viaggi, ai quali partecipavano spesso i rettori dell’Università di Pisa, di Bologna, e di Pavia, che sono stati fra i primi che hanno riconosciuto l’idea rivoluzionaria di Erasmus, illustravo loro, quale tipo di documento avremmo dovuto produrre: un documento su due colonne, una in italiano e - per esempio - una in francese o tedesco o spagnolo. A conclusione della riunione il testo veniva approvato e solennemente firmato dai capi delle due delegazioni. Mentre gli incontri bilaterali e a volte trilaterali con i rettori e i grandi scienziati di tutta Europa, portarono senza difficoltà all’accoglimento della mia proposta, dovetti fare i conti con la burocrazia. Una faticaccia. Sembrava non avessero altro da fare che frapporre ostacoli. Per farle un esempio: una funzionaria allora mi disse che la mia “idea balsana non vedrà mai la luce perché nella pubblica amministrazione è vietato tutto, tranne ciò che è espressamente permesso da una legge”. Fui continuamente scoraggiata dai burocrati: “Lasci perdere. Non si potrà fare”. Invece io, in forza di un articolo della Costituzione, l’art. 11 per l’esattezza, le dissi che l’Italia favorisce tutte quelle iniziative che mirano a stabilire un sistema di pace e amicizia tra le nazioni. Per fargliela breve, le posso dire che dopo 18 anni di sconfitte, il consenso pian piano cresceva, fino al 1987, l’anno in cui fu creato il 'Programma ER.A.S.M.U.S.'
Qual' è la genesi del nome Erasmus?

Ma che cos’ è esattamente ‘Erasmus’?
Non farò ciò che fanno tanti: non le dirò cos’è Erasmus; bensì le dirò cosa non è Erasmus. Uno. Il programma non è finalizzato all’apprendimento delle lingue estere, perché chi va in Erasmus potrà anche imparare la lingua del paese ospitante, ma la cosa fondamentale - come mi disse uno studente erasmiano di ritorno - è che saprà sorridere in tutte le lingue del mondo, e per questo, avrà più possibilità di successo nella vita. Due. Non è riservato agli studenti di livello eccezionale. Ma è per studenti di livello normale; ovvio è, che se uno studente ha una media di 18 avrà più difficoltà ad essere selezionato per il programma Erasmus. Per esempio un onorevole media del 24 andrà benissimo. Tre. Erasmus non ha scopi ‘professionalizzanti’. Anche se le statistiche palesano che dalla laurea, lo studente erasmiano entra nel mondo del lavoro in metà tempo rispetto allo studente laureato ‘non Erasmus’, c’è da sottolineare che lo studente erasmiano non fa un’esperienza all’estero per studiare una materia che viene meglio insegnata rispetto all’università di appartenenza. Ma lo studente erasmiano studia all’estero per allargare il proprio orizzonte culturale: Erasmus aiuta a diventare cittadini del mondo e soprattutto impara ad essere una persona migliore. Erasmus è rivoluzionario proprio perché non costituisce un’esperienza di studioma un’esperienza di vita, non in una università diversa ma in una cultura diversa.
Quale potrebbe essere un suo messaggio per gli studenti universitari?

E per chi non è studente universitario?
Negli anni recenti Erasmus si è allargato ad attrarre anche quei giovani che studenti universitari non sono. Suggerisco per questo, a tutti, di interessarsi sulle possibilità di partecipare per esempio ad esperienze di volontariato internazionale. Il grande errore sarebbe non informarsi ed essere rinunciatari. È già tutto finanziato e organizzato. Sul convoglio Erasmus c’è posto per tutti, occorre solo farsi avanti. Consiglio a tutti di partecipare al programma, perché sono profondamente convinta che Erasmus costruisce persone “inaffondabili”.