Lettere, documenti e fotografie per un viaggio a ritroso fino alla Seconda Guerra Mondiale, dalla Calabria alla Grecia.
Un bambino biondo e sconosciuto, intento a leccare un ghiacciolo al gusto d’arancio, incorniciato a mezza via dal finestrino della fiat 500 color arancio. Sullo sfondo la bottega di un quartiere. Un momento di vita semplice, e per questo autentico, un istante nel tempo che un altro bambino di appena dieci anni ha sentito il desiderio di fermare per sempre in un fotogramma. L'unico fotogramma di quella giornata d'estate che, per la stessa inspiegabile magia per la quale è stato scattato, è anche entrato nell'album di famiglia, nonostante non vi fosse nella foto alcun familiare. L'unico fotogramma senza una data certa ma con i colori, gli odori e le sensazioni provate all’epoca ancora vividi; anche il primo scatto di una vita, quel primo sguardo che basta per innamorarsi, in un attimo, per sempre.
Un giorno d'estate
Nasce così la passione di Michele Furci per la fotografia. In quel giorno d'estate, forse del 1980, in cui ancora non si spiega perché abbia preso la macchinetta fotografica di suo padre e l’abbia usata solo per quel fotogramma, solo per catturare quell'immagine senza alcun volto conosciuto e che ancora oggi, a distanza di oltre quarant'anni, suscita in lui forti emozioni. Un mistero di quelli che non spaventano ma cullano e accompagnano verso le scelte della vita. Michele Furci non ha più smesso di fare foto e ha coltivato quel primo amore lasciando che diventasse il suo modo di esprimersi e di rapportarsi con il mondo, il suo linguaggio per raccontare storie e per incontrare gli altri.
Quando si è timidi e introversi, una maschera aiuta ad essere temerari e superare i limiti caratteriali. In questo la fotografia è sua complice anche se "indossare" la macchina fotografica per Michele Furci non equivale a ingannare o a nascondersi ma a svelarsi, a essere ancora di più sé stesso e a porre anche gli altri in una condizione di libertà. «La fotografia costringe alla sintesi perché costringe ad utilizzare un singolo fotogramma a fronte di un capitolo scritto. La fotografia mi permette di mettere a nudo le emozioni senza indurre il “lettore” alla mia visione», ha spiegato il fotografo calabrese, che ha iniziato all'età di 21 anni, con una kiev19 reflex sovietica con attacco Nikon, e non ha più smesso.
Nato e cresciuto a Reggio Calabria, adesso vive a Viterbo con la sua famiglia. Autore di numerosi reportage tra i quali quello sui laboratori teatrali WaterWork e Un Cane per Amico, ha pubblicato con Carlo Panza il libro fotografico "Aspromonte" e il reportage sulla marineria di Tortoreto. Per Ombre Festival 2017, sempre con Carlo Panza, ha realizzato "Resilienza". Nel 2018 con altri fotografi ha fondato il Collettivo 42 ed è stato insignito dalla Fiaf dell’onorificenza AFI (Artista Fotografo Italiano).
Pm 500, storia e fotografia, famiglia e memoria
«Mi piace lavorare con i ragazzi. Mi piace raccontare. Mi piace scrivere. Proprio in questo periodo sono stato chiamato a rappresentare la Fiaf, Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, in qualità di testimonial ufficiale per il progetto nazionale Ambiente Clima Futuro», ha raccontato. Ad agosto sarà in Calabria, dove ogni anno scende per le vacanze. In particolare sarà anche a Reggio per dare un contributo alla memoria del giudice Antonino Scopelliti, presentando, su invito della fondazione intitolata al magistrato calabrese vittima delle mafie, il suo recente libro fotografico "PM 550", curato da Irene Alison e pubblicato dalla Doll’s Eye Reflex Laboratory. Il progetto condensa storia e fotografia, famiglia e memoria, ed è nato in occasione di un incontro e di una domanda, l'uno programmato e l'altra inattesa.
«Ero andato da Irene Alison per far visionare un mio lavoro fotografico. Esso non era risultato nella sue corde ma alcuni scatti l'avevano incuriosita, convincendola, come poi mi avrebbe confessato, che con me sarebbe stato possibile collaborare. Irene ed il suo staff sono molto selettivi. Fu allora che l’incontro cambiò direzione e mi fu posta la domanda: "ma a te cosa preme raccontare di più?". Era una domanda che attendevo senza saperlo e alla quale la risposta fu istantanea. Volevo raccontare la storia nascosta della mia famiglia», ha ricordato Michele Furci.
Per affidare la Storia ad uno scatto è indispensabile che a coglierla sia uno sguardo che invece di fermare custodisca, per far decantare dentro e oltre il tempo che scorre. È necessario uno sguardo che, alimentando la Memoria, saldi, in un presente instancabilmente narrante, il passato e il futuro. Lo sguardo che Michele Furci volge, attraverso questi scatti, possiede questo talento. Un flusso genuino che scaturisce da una fondamentale opera di sottrazione all'oblio di quasi quattrocento lettere, aventi come mittente PM 550, che il nonno paterno Salvatore scrisse alla nonna Serafina Scaglione, rimasta nella città aspromontana calabrese di Cittanova ad aspettare che tornasse dalla guerra. PM sta per Posta Militare 550, la casella postale militare italiana associata alla zona operativa di Rodi, isola principale dell’allora Dodecanneso, durante la seconda guerra mondiale. Erano caselle che dovevano restare anonime per esigenze di carattere militare. «Una decina di anni fa mia zia Tita fece i conti con quanto aveva conservato fino ad allora. I suoi genitori, i miei nonni, non c’erano più da troppi anni e la storia contenuta in quei due scatoloni doveva essere chiusa una volta per tutte. Vederne il contenuto fu per me come scoprire un tesoro nascosto. L’odore che ne venne fuori fu inebriante, il mix perfetto di polvere e carta invecchiato di settanta anni. Negli anni successivi ho visionato tutto il materiale e letto le lettere che riportavano come mittente PM550», ha raccontato Michele Furci schiudendo, con grande slancio e generosità, uno scrigno intimo e personale, aprendo tramite quelle lettere e quelle foto il suo album di famiglia ai "lettori".
Intimità e profondità
Un cammino interiore che, nel suo corso, ha mutato direzione, pur mantenendo intatta l'ispirazione, perché per lui è la coerenza a salvaguardare la credibilità di un lavoro, la veridicità di un progetto. «Inizialmente l’idea era quella di raccontare la storia un fante, mio nonno, in guerra. Dopo aver riletto le lettere, il percorso narrativo e creativo è cambiato e ho deciso di raccontare una storia d’amore epistolare ai tempi della guerra. Come location ho scelto la mia serra, luogo quotidiano di lavoro, a venti metri da casa mia. Dalla serra ho raccontato un storia snodatasi settanta anni prima tra Cittanova e Rodi, a migliaia di chilometri di distanza da Viterbo, luogo in cui risiedo. Per potermi calare nel mondo immaginifico di mio nonno ho deciso che il casting avrebbe dovuto essere composto rigorosamente da me stesso, mia moglie Cristina, le mie due figlie Alice e Luna e la mia figlioccia Marta. Le lettere erano, quasi nella totalità, quelle conservate da nonna Serafina ed era, pertanto, la voce di mio nonno Salvatore che riecheggiava nel mio immaginario. Ho scelto di provare ad entrare in quell'immaginario fatto della nostalgia del focolare domestico immersa in eventi bellici. Come filo conduttore mi sono lasciato condizionare dai sentimenti che provavo verso i miei nonni paterni. Adorazione per nonna Serafina ed un misto di fastidio e ammirazione nei confronti di nonno Salvatore. Li ho accostati alle figure di Penelope ed Ulisse per le tante assonanze - la moglie che attende il marito perso nel Mediterraneo - e questo ha orientato la mia navigazione in mezzo a quelle parole, a quei ricordi».
«...non morivano mai del tutto»
Un lavoro che contribuisce a dare un volto umano alla Storia, ricordandoci come essa sia ricca sfumature e riflessi e come essa si componga inevitabilmente di tante Storie, anche calabresi. Una scoperta che sfocia nel mistero e nella ricerca. «Nonno Salvatore fu dichiarato disperso e mai più ritrovato. Come accadeva spesso all’epoca, queste persone non morivano mai del tutto. Io percepivo in famiglia la speranza di una sopravvivenza, anche altrove, anche con un'altra famiglia in un luogo diverso da quello di origine. Un marito, un padre comunque vivi. Questa idea, mai espressa, ha motivato la scelta di lasciare aperto il finale di questo lavoro. Con Irene Allison ho deciso di rispettare la storia della mia famiglia».
La storia nascosta tra le righe
Particolarmente coinvolgente dal punto di vista emotivo è stato leggere le lettere, trovare le fotografie e spulciare i documenti. Nuovi mondi si sono aperti per Michele Furci, nuove relazioni, nuove scoperte e, all'orizzonte, nuovi progetti. «Le lettere mi hanno svelato la quotidianità di una famiglia povera del Sud Italia povero in un periodo storico drammatico. Grazie ad esse ho scoperto che l’uomo riesce ad essere resiliente sempre e comunque. Ho avuto modo di vedere rivelati alcuni dettagli della vita di mio padre e della sua famiglia di origine tali da farmene comprendere i caratteri e le caratteristiche di ognuno di loro. Dopo pochi mesi dall’inizio del progetto ho trovato un documento ufficiale che mi ha finalmente restituito la verità sulla scomparsa del Sergente Maggiore Salvatore: l’elenco degli imbarcati sul piroscafo Oria. Lui fu uno degli oltre 4000 italiani fatti prigionieri dai nazifascisti e lasciati affogare nel più grande naufragio della seconda guerra mondiale. Grazie a questo viaggio a ritroso sono entrato in contatto con la crescente comunità dei parenti del naufragio del piroscafo Oria che sul muro della memoria virtuale ha superato i 350 naufraghi (http://www.piroscafooria.it/). Fortissima è stata l’emozione nel leggere l’ultima cartolina scritta dal nonno in vita, con mittente “campo prigionia n°5 Rodi” ed emozionante scoprire che egli non firmò come collaborazionista del nazifascismo».
Le foto che raccontano
«Di tutte le foto d’epoca sono almeno tre quelle che continuano ad attrarmi. La prima è ritrae tutta la famiglia, l’unica in mio possesso, con sullo sfondo la villa giardino di Cittanova. La seconda è una foto dove si vede il nonno, in brache ed a torso nudo, seduto su di uno sgabello intento a scrivere una lettera a nonna Serafina. La terza ed ultima foto è legata alle suggestioni che, verosimilmente, mi porteranno a sviluppare un nuovo progetto, un sequel il cui embrione è già nella mia mente. Raffigura una giovane donna, in abiti tipici greci, che tiene in braccio una bambina in fasce. Si chiamano Cleopatra e Paraschiavi. Lo so perché il nonno lo scrisse sul retro della foto che inviò a mia nonna. E se il finale in realtà consistesse nello scoprire che il nonno fuggì poco prima dell’imbarco per poi ricominciare a vivere affianco a Cleopatra? Mi è bastata questa suggestione per decidere, in un prossimo futuro, di imbarcarmi e raggiungere Rodi alla ricerca di ipotetici miei parenti greci. Sarà dunque un lavoro fotografico molto simile ad un diario di viaggio», ha annunciato Michele Furci.
L'immaginazione e la memoria che non c'è
L'immaginazione può, dunque, sanare una memoria altrimenti impossibile. «L’emozione regalatami dalle ore passate a leggere missive scritte in un italiano stentato è stata quella di immaginare mio padre bambino. Un bambino che non potrà avere ricordi del padre perché troppo piccolo per averne. La storia che ho raccontato è, dunque, la genesi di quello che sono io oggi. Ha influenzato mio padre e quindi anche la mia famiglia. Raccontarlo per immagini significa restituirgli una universalità fruibile da tutti coloro i quali hanno desiderio di addentrarsi. Tutti posso trovare uno o più riferimenti al proprio vissuto o, più semplicemente, provare emozioni. Questa è la potenza intramontabile di ogni storia», auspica, infine, Michele Furci.
Un viaggio domani, forse
Tranne Vincenzo, suo papà, ancora tutti i figli di Salvatore e Serafina sono in vita con figli e nipoti. Mio fratello porta il nome del nonno Salvatore ma né io né lui abbiamo avuto figli maschi per poter dare il nome di mio padre Vincenzo, figlio di Serafina e Salvatore. Eppure quella storia continua a scorrere e a vivere in quelle lettere e in quelle foto e nelle foto che Michele Furci ha scattato per raccontare questa storia. È un flusso inarrestabile che non conosce sosta e che si nutre del mistero profondo di un mancato ritorno. Nonno Salvatore è morto in mare e il suo corpo giace in fondo all'Egeo oppure è sopravvissuto? Una domanda che è una dicotomia dell'anima e che, ad oggi, traccia due destini entrambi plausibili anche se uno solo è quello di cui la Storia è ancora unica detentrice e custode. Ancora e fino a quando qualcuno, forse proprio Michele Furci, non deciderà di voler dare una risposta a quella domanda, riunendo i fili di una storia unica, come ogni storia.