Leggendo “Eroine” a molti è ritornata in mente “Nikita”.
Il primo, e il più autorevole, a stabilire la connessione con il film di Luc Besson del 1990 è stato Sergio Rizzo, il giornalista vicedirettore di Repubblica, firmatario della prefazione al romanzo d’esordio di Vinicio Leonetti, a lungo apprezzato cronista della Gazzetta del Sud con esperienze al Sole 24ore, Milano Finanza, Corriere della Sera-Economia. Il gioco dei rimandi, come spesso succede in letteratura e nell’arte, potrebbe riavvolgere altri nastri e riandare alla ballata omonima di Elton John del 1985 che d’altra parte fu primaria fonte di ispirazione per il regista francese. Generando, come effetto collaterale non si è mai capito se voluto o accidentale, un equivoco di genere, essendo la Nikita della canzone una guardia di frontiera donna al di là della cortina di ferro spinato in imperante Guerra fredda mentre Nikita in Russia è notoriamente nome maschile. Leonetti da questo trambusto di genere probabilmente prescinde dal punto di vista dell’etichetta verbale, mentre da quello sostanziale un appiglio si può, e si deve, trovare.
Come si evince nell’intervista che ha concesso a Calabriaonweb, partendo da una prima, facile ma necessaria, domanda: perché questo titolo, perché “Eroine”?
“Perché sono due, le eroine. Una, la principale, si chiama Marisa. Si chiamava Concetta ma le hanno fatto cambiare nome e connotati, perché assiste a una strage di mafia e rientra nei protocolli previsti per i testimoni di giustizia, per cui il suo nome è stato cambiato e ha subito pure un’operazione al volto. Poi c’è l’altra che si chiama Violetta, è una giornalista italoamericana, molto famosa…”.
Due donne appartenenti a mondi totalmente diversi.
“Sì. Concetta, adesso Marisa, viene dai bassifondi di Palermo dove vendeva droga, spacciando insieme a dei piccoli mafiosi di quartiere. Invece l’altra, Violetta ha un padre impegnato nell’alta finanza di Wall Street. Le due si incontrano forzatamente, perché Violetta viene rapita dall’Isis in un villaggio di lusso di Sharm el-Sheikh, Marisa da testimone di giustizia entra in polizia e diventa un agente segreto, una spia addestrata in Medio Oriente, una di quelle spie che salvano vite nei punti caldi del mondo, una testa di cuoio. In quanto tale viene mandata a salvare l’ostaggio e ci riesce, in una missione pericolosa con altri due suoi colleghi, per liberarla da questa frangia sanguinaria dell’Isis che intanto aveva scoperto essere Violetta anch’essa agente segreto del Mossad, il servizio segreto israeliano, con tutte le complicazioni conseguenti alla scoperta, considerati i rapporti difficili tra arabi e israeliani”.
Lo sviluppo della trama si sottrae quindi a una narrazione meridionale e localizzata.
“In effetti, volutamente, è così. Ho ambientato a Palermo, intanto perché c’ho vissuto tre anni. Tutti i posti, toccati dall’ svolgimento dell’azione, li visitati realmente. Palermo la conosco bene e quindi sono stato in grado di descriverla con realismo, gestendo con agilità strade, vie, posti. Anche gli altri luoghi via via toccati. Marisa, diventata agente segreto, si trasferisce a Roma, lasciando Palermo per ragioni di sicurezza e di carriera, avendo lì la sua base operativa essendo organica ormai ai servizi di sicurezza. Poi c’è la trasferta, l’ennesima, a Sharm el-Sheikh ufficialmente da turista. In un villaggio turistico vicino al teatro del rapimento, anche qui visto con i miei occhi e decritto compiutamente. Poi le trasferte in Medio Oriente. Marisa in seguito al salvataggio di questa persona famosa, una giornalista del New York Times e di Time e, come talvolta succede realmente, anche agente segreto, fa il doppio gioco: una persona ben in vista, che veicola la notizia sui mezzi di informazione internazionali, svelando la verità sul suo salvataggio a opera di una donna d’azione che da testimone di giustizia è diventata quel che è diventata, incuriosendo i media di mezzo mondo”.
Pertanto anche immagine metaforica di una affermazione personale, di una redenzione tutta al femminile.
“É un vero e proprio riscatto, da qui il titolo ‘Eroine’, un riscatto da parte di una persona destinata a delinquere, con un futuro già scritto tra galera e marciapiede, e invece no. Con le sue sole forze è diventata una persona al servizio dello Stato e anche gratificata dalla fama”.
Emergono comunque, non espliciti, riferimenti a fatti di cronaca che hanno coinvolto la Calabria e anche la tua attività di cronista di nera, per più anni esercitata, a Lamezia Terme ma anche a Roma, a Palermo e altrove.
“La casistica riguardante i e le testimoni di giustizia a Lamezia Terme, così come nel resto della Calabria, è ormai consolidata, così come le missioni dei servizi di intelligence nelle terre di nessuno per salvare ostaggi. Il riferimento non può che partire da Nicola Calipari perito a Bagdad nel tentativo di salvare la giornalista del Manifesto Giuliana Sgrena. L’aver poi affidato nella finzione letteraria questa funzione salvifica a una donna ha risposto all’obbligo morale di dare risalto alla condizione femminile che in Italia sconta pregiudizi storici e arretratezza culturale. Volevo essere testimone di questa urgenza di riscatto, tanto è vero che nello scrivere il romanzo ho cercato di immedesimarmi quanto più possibile in una donna. È scritto come se parlasse Marisa, descrivo il mondo con gli occhi di Marisa, l’ho fatto coscientemente per creare un’atmosfera di confidenza femminile. E devo dire che molte lettrici si sono immedesimate nella protagonista. Di questo sono veramente soddisfatto”.
È un aspetto che ha messo in rilievo anche Sergio Rizzo nella sua breve e densa prefazione al libro, nella quale tra l’altro inserisce anche il riferimento cinematografico, alla “Nikita” di Luc Besson.
“Un po’ è così, perché nel film Nikita si trasforma da larva umana in persona forte, tosta e determinata. Mi piacciono questi salti possibili, partendo da una situazione così minoritaria ed emarginata di donna che dall’estrema periferia di un bassofondo urbano assurge a una notorietà globale. Tutto questo ha dei costi, non è che Marisa ci arriva perché, da bella brava e intelligente, in virtù di ciò ha trovato la strada spianata. No. C’è arrivata pagando un caro prezzo, a cominciare dalla perdita dei contatti con la famiglia, cancellando completamente i suoi cari e il suo unico vero amore, l’uomo del suo cuore”.
Tutti questi risvolti, complicati e coinvolgenti, anche allargati nello spazio fisico dell’azione, vengono contenuti in 180 pagine, concentrando notevolmente lo stile di scrittura, molto diretto.
“È lo stile da cronista, lavoro che ho svolto per 35 anni. É il mio modo di scrivere. Non ho ambizioni da saggista o da fine letterato. Scrivo di cronaca, e questa volta mi sono concesso spazi e metrature più lunghe del solito, liberandomi dalla costrizione del numero di battute o di righe. Croce e delizia di ogni giornalista”.
Quanto tempo ha assorbito la stesura di “Eroine”?
“Non molto tempo, cinque o sei mesi. Ho trovato subito accoglienza editoriale, dopo avere subito un solo rifiuto da parte di un altro editore che mi ha risposto asserendo che il testo non rientrava nella sua linea editoriale per via di alcuni espliciti episodi di sesso. Nel romanzo scorre in effetti una discreta venatura erotica, Marisa e Violetta sono molto impegnate a letto. Anche questo aspetto va affrontato, fa parte della vita. Subito dopo “Città del Sole editore” di Reggio Calabria, nelle persone di Franco Arcidiaco e Antonella Cuzzocrea, si sono rivelati gentili, competenti e operativi. Hanno lavorato in periodo di restrizione dovuta a Covid, nella quale le attività promozionali sono venute in gran parte meno. Con tutto ciò il libro ha avuto una larga e positiva circolazione”.
Non solo di lettori, ma anche di critica. A gennaio il romanzo ha vinto il premio Mario Luzi sezione narrativa, unico premio intitolato al grande poeta fiorentino autorizzato dalla famiglia.
“Sinceramente, non me lo aspettavo, una grande e gradita sorpresa. È stato l’unico concorso a cui ho partecipato, dopo averlo visto di sfuggita su Facebook, di cui non conoscevo neanche l’esistenza. Ma da lettore delle poesie di Mario Luzi, una passione che mi accompagna fin dal liceo e per la quale ho anche svolto una tesina all’esame, mi sono incuriosito e ho partecipato”.
“Eroine” non sarà l’unica prova letteraria di Vinicio Leonetti.
“No. Intanto già ne ho scritto la sceneggiatura, nella considerazione che la trama e il ritmo possano venire traslati e interpretati in video. Un’esperienza del tutto nuova, come era nuova l’esperienza di scrittore. Per farlo ho letto decine di sceneggiature e visonato altrettante serie televisive per acquisire linguaggio e tecnica. Non mettiamo limiti alla provvidenza, chissà… Tutto è possibile. Intanto è stato piacevole cimentarsi con cose nuove. Ci sono riuscito e attendo con fiducia possibili sviluppi su questa via”.
È successo lo stesso per “Nikita”. Può essere un auspicio. Per il resto?
“Sicuramente il mio prossimo romanzo, che sto già affrontando, parlerà d’altro. Non è d’azione né nuova spy story. Mi cimenterò con fatti veri, di cronaca quotidiana, nell’esperienza di tutti. Ma non uscirà prima che tutta questa coltre nebulosa pandemica non si sia dissolta. Ho rischiato per la prima uscita, non ho intenzione di ripetere l’avventura. Voglio che il prossimo lavoro sia presentato nei posti normali, in circostanze normali, con strette di mano finali e anche abbracci se necessario”.