Sul corto di Muccino non casca l’asino
Grazie, Gabriele Muccino e grazie Raoul Bova e Rocio Munoz Morales. Dobbiamo al vivace dibattito che si è aperto intorno al loro cortometraggio se si torna a parlare d’asini in Calabria. Ciùcci, scecchi, sumari, bagàglhi, tornano a godere di attenzioni e curiosità, persino dei riflettori. Eppure, numerosi, fino a pochi decenni orsono facevano ancora schioccare di buon mattino i loro inconfondibili zoccoli ferrati anche sull’asfalto di molti centri cittadini. Sembravano estinti, questi umili, utilissimi equini.
E invece rieccoli. Insperati protagonisti, sfilano in favore di telecamera, lungo viali di agrumi, diventati oggetto di un’operazione di riscoperta. Del resto, oltre le sbiadite immagini in bianco e nero accanto al classico muretto a secco, gli asini non parlano solo di una Calabria antica. Nobili compagni dell’uomo nei lavori più umili e faticosi, erano stati già messi al centro di progetti di rilancio e valorizzazione.
Li aveva riabilitati a Riace il sindaco Mimmo Lucano, in chiave ecologica quali mezzi di trasporto ideali per la raccolta differenziata dei rifiuti nei vicoli del comune ionico diventato un punto di riferimento per l’accoglienza dei profughi di mezzo mondo. Ricordo la raccolta dei rifiuti porta a porta con gli asinelli “verdi” e “slow”, che recavano sul dorso una bandiera con la scritta: “Noi la differenza la facciamo …solo dei rifiuti!”.
E come non rammentare che più a nord, a Sersale, sul versante ionico catanzarese, sono entrati a far parte a pieno titolo del “fenomeno Valli Cupe” anche sei asini? Carmine Lupia, il bravissimo botanico-naturalista che ha scoperto e fatto conoscere i chilometri di canyon selvaggi divenuti un “cult” per gli appassionati di trekking e di wilderness, li ha utilizzati per le escursioni e per rendere accessibile quel tesoro ambientale anche a chi non ha doti atletiche. Chi se ne intende, parla di “trekking someggiato”.
Gli ottimi rapporti tra i calabresi e gli asini risalgono alla notte dei tempi. La nostra razza asinina è una variante di quella Pugliese e c’è un apposito Progetto finanziato ed avviato dall’Ente Parco Nazionale dell’Aspromonte che la sta salvando dall’estinzione. L’autoctono Calabrese compare in documenti ufficiali che risalgono al 1240, quando Federico II ordinava a Pietro Ruffo di Calabria di rivolgersi a Ruggero, monaco di San Giovanni, perché – da intenditore qual era – gli fornisse buoni asini “pro cooperiendis jumentis nostris”. E ne scrive Corrado Alvaro (“quello che accompagna il Calabrese, l’asino, il mulo, la zampogna, l’organetto, il piffero…”).
Certo, la consistenza del nostro patrimonio asinino che nel 1908 contava su circa 68.000 esemplari e tra 1930 ed il 1950 aveva raggiunto i 78.000 capi, è via via assottigliata. Dal ‘60 in poi, quando erano 58.000 gli esemplari stimati da Jean Meyriat, la popolazione degli asini in Calabria ha avuto un drastico crollo demografico.
La sopravvivenza di questa specie equina oggi è assicurata anche dal suo prezioso latte, che la scienza celebra come più simile a quello materno. Non è certo una novità, in Calabria era risaputo da secoli e a tal proposito ne offriva tangibile attestato Antonio Delfino, giornalista e scrittore, che ogni qual volta incontrava un asino correva ad accarezzarlo e, abbracciandolo – come ricorda Bruno Gemelli – lo chiamava “fratello di latte”.
Ma in soccorso del nostro asino ci sono anche altre testimonianze di pregio. Come quella che riferisce Annarosa Macrì, nel suo “L’ultima lezione di Enzo Biagi” (Rubbettino, 2008). Erano gli anni Cinquanta e il grande giornalista era un giovane cronista in visita a una specie di collegio-colonia impiantata in Romagna dalla società Edison. Ospitava bambini bisognosi che arrivavano da ogni parte d’Italia e quelli della Calabria, che aveva subito una disastrosa alluvione, erano tanti. Ma ecco le parole di Enzo Biagi: «Qual è l’animale che preferisci?». A tutti i bambini della colonia era stato proposto da svolgere un tema così e io andai a curiosare. Un bambino decise: la tigre, perché è la più forte; un altro scrisse: l’aquila, perché vola più in alto… e fin qui: carino, ma tutto come nelle previsioni. Poi lessi il tema di un bambino calabrese. Lui scrisse: «L’animale che io preferisco è l’asino, perché mangia poco e lavora tanto». Non lo dimenticherò più: quel bambino aveva capito tutto, e certamente aveva già visto tutto, nella sua terra difficile: che intelligenza! Io lo dico sempre: i Calabresi hanno testa! Diteglielo a Bossi: senza il Sud gli Italiani sarebbero assai più stupidi».