Autore di romanzi di grande successo come 'Perduta gente', 'Bel Paese', 'La strategia del porco', 'Il Saltozoppo'. E poi editi da Rubbettino: 'Zefira', 'American Taste' e 'Anime Nere', dalla cui trama Rai Cinema ha prodotto un film, diretto da Francesco Munzi. A distanza di vent'anni, e dopo il grande Corrado Alvaro, è l'unico letterario che ha dedicato i suoi studi e le sue attenzioni professionali all'Aspromonte, e ai sobborghi ad esso limitrofi. Lo ha fatto raccontando i costumi e le tradizioni di una cultura fortemente identitaria della propria storia e delle proprie origini, non tralasciando nulla, addentrandosi nelle viscere di una società ferita dalla 'ndrangheta. Il suo grande merito è proprio quello di raccontare l' Aspromonte, senza avvilirlo e deturparlo, contestualizzando il fenomeno malavitoso oggettivamente e soprattutto senza strumentalizzazioni scoraggianti. Dai lavori di Criaco, parte un messaggio positivo che punta anche alla valorizzazione delle tante potenzialità inespresse del territorio calabrese, cercando di veicolare attraverso la letteratura, un percorso di promozione per la Calabria. L'Aspromonte descritto non più come “male assoluto”, ma come possibile emblema di riscatto di un'intera regione.
Le si riconosce il valore di essere un illustre interprete del noir calabrese. Gioacchino Criaco e Corrado Alvaro: entrambi visceralmente legati alle terre d'Aspromonte, avete saputo raccontarlo in tutte le sfaccettature che lo animano e lo caratterizzano. C'è un filo conduttore che la lega a Corrado Alvaro?
E’ un autore che sto riscoprendo da qualche tempo, che leggo con nuovi occhi, trovando incredibile la sua capacità profetica, il suo leggere il futuro come fosse un resoconto e non un fantasma.

Due dei suoi più importanti romanzi “Anime nere” e il “Saltozoppo” tracciano un profilo corrispondente e parallelo, del personaggio della 'donna calabrese'. Più volte ha sostenuto che il suo intento è quello di esaltare la donna, come “colei che tesse trame non per dividere ma per sanare e per comporre”. Perché nel suo percorso letterario, ha fortemente voluto collocare in primo piano il ruolo della donna di Calabria?
Sono partito dalla visione stereotipata della donna calabrese, come presenza muta, madonna silente e solo sofferente, e ho cercato di tratteggiarne l’anima, positiva e negativa, custode dell’odio in Anime Nere, e colme d’amore dirompente nel Saltozoppo, e penso che ne sia uscita fuori la donna calabrese vera, determinante nel bene e nel male, ma, soprattutto, determinante ad arginare la deriva morale del mondo maschile e presente per dare un fondo al baratro che altrimenti sarebbe senza fine.
Il grande successo di “Anime nere” ha portato alla sceneggiatura di un film, andato in onda in prima serata sulle reti RAI. Il messaggio e il racconto della riproduzione del romanzo che il regista Francesco Munzi ha brillantemente realizzato, è stato accompagnato da grandi riconoscimenti e da qualche critica, anche “locale”, secondo cui dalla narrazione si evincerebbe e un ritratto troppo 'punitivo' per la Calabria. Cosa si sente di dire?

Lei è convinto che la Calabria è “sospesa tra passato e presente”, sottolineando il fatto che la sua lingua - il dialetto calabrese - non concepisce la coniugazione dei verbi al futuro, “il domani è affidato al destino”. Lei pensa che la Calabria e i calabresi non riescono a guardare al futuro, in tutti i campi della società, attraverso un'idea di progettazione e di pianificazione?
Nella scrittura c’è quasi sempre una forzatura, la metafora dei tempi verbali mi è sembrata buona per significare una società immobile, prigioniera di una classe dirigente che perpetua il potere attraverso la stagnazione sociale. Ci sono due Calabrie, quella di un potere locale immanente che non ha interesse a cambiare le cose; e quella di un popolo cosciente di un’oppressione secolare a cui non trova ancora il coraggio di opporsi in una risoluzione, che se anche richiederebbe tempo, dovrebbe essere definitiva. E così permane una Calabria di chi sta bene, una di chi sopravvive e quella sempre più maggioritaria di chi se ne va, o se ne andrà.