Quella di Leonardo Nucera è la storia di tanti calabresi che, per sfidare l’incertezza del futuro, decidono di cambiare la propria vita. Leonardo, reggino, sposato e padre di due figli, ha 34 anni, da 8 è dipendente della “So.GAS. service”,
ex società di gestione dell’“Aeroporto dello Stretto” di Reggio Calabria e inghiottita dalle procedure di fallimento, da qualche giorno trasferitosi in Kazakistan per lavorare in una delle catene di hotel - ristorazione più famose al mondo, la “Ritz Carlton”.
Destinazione Almaty, la città più popolosa del Kazakistan di cui fino al 1997 era capitale, con tanti sogni nel cassetto e con la speranza di tornare un giorno, tra i suoi affetti più cari. Le sue non sono parole di rabbia verso la società che per anni non è stata in grado di pagare gli stipendi con regolarità, ma di chi è costretto a convivere con la consapevolezza che non si può fare diversamente.
La situazione drammatica della “So.GAS. service” ti ha spinto a fare questa scelta?
“Sinceramente sì. Da troppi mesi si stava confermando una situazione di instabilità. Stipendi ritardati e a volte mancati, non mi permettevano di programmare la mia vita. Sposato e con due figli le esigenze cambiano. Magari fossi stato più giovane e senza una famiglia avrei potuto resistere, ma in queste condizioni ho dovuto fare una scelta alternativa e per certi versi rischiosa, chemi garantisse una serenità e soprattutto una possibilità di costruire un futuro per i miei figli senza magoni e senza paure”.
Come nasce la tua passione per la cucina?
“Non nasce in un giorno, ma è una passione che coltivo fin da bambino. Stare dietro ai fornelli ad inventare ed elaborare piatti e pietanze, è una cosa che mi ha sempre affascinato. Negli ultimi anni però, ho cercato di trasformare una mera passione in qualcosa di concreto e che potesse crearmi un’opportunità. Certo è, che quando iniziai a lavorare in SoGAS, mai avrei pensato che sarei diventato cuoco, o che avrei dovuto cambiare continente per farlo”.
Qual è stato il tuo percorso fino ad arrivare alla Ritz – Carlton?
“In un momento della mia vita in cui qualche, anzi, molte certezze lavorative venivano meno, per via della situazione emergenziale in cui versava la “SoGas service”, decisi di investire del tempo e del denaro su una mia passione. La cucina. Mi organizzai le giornate, non con pochi sacrifici, in base ai turni a lavoro e in base agli orari del corso, che si teneva in un centro di alta formazione professionale a Pellaro (RC). In questo fantastico mondo ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere due chef fantastici, Umberto Di Marco e Pietro Zema. La loro esperienza e la loro passione sono stati dei punti di partenza dai quali partire e sui quali fare affidamento, sempre. A loro devo questa mia grande soddisfazione. Dopo qualche anno di esperienza iniziai a inviare curriculum in Italia e all’estero, fino a quando, entrai in contatto con uno chef, originario di Lamezia, il quale mi consigliò di inviare il mio curriculum all’ Hotel Ritz Carlton di Almaty, perché la proprietà - americana - voleva investire sulla cucina italiana. E così feci”.
Com’è arrivata la chiamata da una delle catene di hotel più famose al mondo?
“Passarono pochi giorni e fui contattato direttamente dalla responsabile delle risorse umane dell’Hotel, la quale mi chiese se fossi stato disponibile a fare un colloquio preliminare via skype e poi una prova in cucina, ad Almaty. Ovviamente accettai, e dopo il colloquio, mi tuffai sul primo aereo e due giorni dopo fui in Kazakistan. Onorato del fatto che la direzione del Ritz Carlton pagò tutte le spese del viaggio, dopo nove ore di viaggio fui accolto con tanta disponibilità e cortesia direttamente dall’executive Chef, di origini turche. Apprezzai enormemente la possibilità che mi diede di riposare per 24 ore prima di fare la “prova cucina”. La prova consisteva in tre giornate, ma lo chef mi chiese se fossi stato disposto a fermarmi per una settimana, ovviamente ospite sempre della Ritz Carlton, per attendere l’amministratore delegato bloccato a Mosca a causa di una burrasca di neve. Dopo due giorni arrivò il momento dell’ “esame”. Dovetti cucinare un pranzo italiano, semplice e caratteristico per sei persone: i commensali erano i vertici dell’hotel, dallo chef, al direttore generale, all’amministratore delegato al responsabile del personale. Per l’occasione cucinai come antipasto: polipo con una tipica insalata siciliana di arance e finocchi, parmigiana di melanzane e carpaccio di filetto di manzo. Come primi: tagliatelle fatte a mano con ragù bolognese, ravioli sempre fatti a mano ripieni diricotta e spinaci con salsa di burro e menta; e un risotto gamberi e zucchine. Come secondi: brasato al vino rosso, calamari ripieni, una zuppa di cozze e vongole con bisque di gamberi aromatizzato al bergamotto. E Per finire pizze”.
Qual è stato l’elemento che ha fatto la differenza?
“A mio modesto avviso fu proprio l’olio di bergamotto a stregarli. Visibilmente soddisfatti e dopo tanti complimenti, con molta educazione e gentilezza mi congedarono con un classico “Le faremo sapere”. Ritornai in Italia con due sentimenti contrastanti, da un lato ero convinto di averli in qualche modo stupiti, ma d’altro canto mi resi conto che mi congedarono senza l’offerta di un’effettiva prospettiva. Ma i miei dubbi si sciolsero in meno di una settimana, quando fui contattato dall’ ufficio risorse umane della catena Ritz Carlton”.
Partendo per Almaty cosa ti lasci alle spalle?
“Partendo per il Kazakistan certamente lascio tanti affetti e tanti amici. Ma lascio anche mille insicurezze. Con una valigia in mano vado a “prendere” il mio futuro e quello della mia famiglia. Nessun rimpianto. Tanto entusiasmo e tanta soddisfazione. Forse il rammarico di essere uno dei tanti figli calabresi costretti a lasciare la propria terra”.
Pensi un giorno di ritornare a casa?
“Non è una domanda che mi pongo adesso. Anche se la mia situazione contrattuale prevedrà una volta l’anno la possibilità di tornare in Italia con tutta la famiglia, non voglio pensare a quando e se ritornerò a casa. Adesso voglio cimentarmi in nuovo percorso professionale e soprattutto di vita. Ma devo avere la consapevolezza che la Calabria, mi duole dirlo, non può garantire le stesse opportunità che offrono altre realtà europee. Ad oggi è più coraggioso chi resta piuttosto chi parte. Ma il mio non vuole essere un invito a lasciare la Calabria, ci mancherebbe, io amo la mia terra e spero che questa tendenza di migrazione giovanile possa arrestarsi, ma al contempo ai giovani calabresi consiglio: costruite il vostro futuro prima che questo diventi passato.”