A Roma, Napoli e Sutri un Preti inedito. A Palazzo Barberini fino al 4 luglio in mostra il dipinto Cristo e la Cananea appena restaurato. Napoli svela l’affresco su Porta San Gennaro, mentre a Sutri l’artista di Taverna è tra i protagonisti di un percorso a cura di Vittorio Sgarbi.

Da una sala di Palazzo Barberini la Cananea di Mattia Preti, fresca di restauro, racconta al visitatore la fortuna che un giovane calabrese di belle speranze riscosse, oltre tre secoli fa, presso le famiglie più influenti della capitale. Restaurata dal laboratorio delle Gallerie Nazionali, finalmente liberata da secolari patine di sporcizia e vernici ossidate, la tela, datata 1646-47,grandeggia adesso nell’edificio barocco voluto da Urbano VIII, protagonista di un focus a cura di Alessandro Cosma e Yuri Primarosa. Questo suggestivo viaggio nell’arte del Cavaliere calabrese attraverso una delle sue opere più intense in mostra a Roma, è uno dei tre interessanti appuntamenti con il pittore di Taverna attualmente in corso
A Palazzo Barberini la Cananea restaurata in mostra fino al 4 luglio
Fino al 4 luglio il capolavoro Cristo e la Cananea, conservato in collezione privata, e quindi solitamente non visibile al pubblico, si potrà ammirare in tutta la sua bellezza. Ad affiancare la tela ci sono il Banchetto del ricco epulone (1655) di Mattia Preti, l’Allegoria dei cinque sensi della collezione Barberini, realizzato a quattro mani dai fratelli Mattia e Gregorio Preti (1641-46), Le Nozze di Cana di Gregorio (1650-1665), del Pontificio Istituto Teutonico - per la prima volta esposto al pubblico - e il Sant’Orsola (1635-40).
All’interno della sala riservata ai fratelli calabresi, una giovane donna sfarzosamente vestita, con il capo e le spalle coperti da un velo in seta ricamato alla veneziana, mentre si rivolge a Cristo indicando con la mano un piccolo cane, incrocia lo sguardo del visitatore. La pagana Cananea viene rappresentata dal pittore nell’atto di implorare la guarigione della figlioletta indemoniata. Nei capelli castani e la pelle di luna, i grandi occhi scuri rivolti al cielo, non dissimili da quelli della Sofonisba di Palazzo Arnone a Cosenza, è racchiusa una bellezza mediterranea che commuove. La scena diventa una macchina teatrale popolata da una moltitudine di figure, figlia del barocco incombente assimilato da Guercino e da Giovanni Lanfranco.
Ad attirare lo sguardo del pubblico, su un belvedere di impronta palladiana, è la servitù intenta a raccogliere i panni stesi, ponendoli al riparo dalle improvvise folate che rischiano di disperderli. Questa tensione descrittiva, unita al tono aneddotico della narrazione trasformano l’episodio evangelico in una vicenda di vivace quotidianità. Ci sono tuttavia altri dettagli che accrescono il fascino di questa tela. La Cananea di Preti ha svelato, grazie al restauro, particolari inediti.
L’opera si presentava rovinata da fori e da piccole lacerazioni, mentre, sul davanti, una grossolana stuccatura evidenziava il maldestro tentativo di nascondere un danno accidentale, avvenuto probabilmente in tempi recenti. Sul retro, in corrispondenza di un buco, i restauratori hanno ritrovato un frammento di giornale in lingua inglese, applicato all’inizio del XX secolo. Il restauro ha anche restituito alcuni pentimenti dell’artista, ad esempio all’altezza del copricapo del moro si nota un altro filo con i panni stesi sullo scorcio del cielo.
Due calabresi a Roma

Nel 1647 il principe Marcantonio V pagò direttamente a Mattia Preti la Cananea, un quadro di altissima qualità, dove l’influsso della pittura veneziana - di Tintoretto e Veronese in particolare - sull’arte del “Cavaliere calabrese” balza subito agli occhi. Quindici anni prima, nella primavera del 1632, è documentata per la prima volta la presenza a Roma dei fratelli Mattia e Gregorio Preti, anche se probabilmente i due erano arrivati nella città papale dalla natia Taverna già nel 1624. Giusto in tempo per assistere agli ultimi bagliori della pittura caravaggesca e ai primi fuochi di quella barocca.
Il debutto di Mattia nell’alta società romana
Dovette essere Gregorio, che ebbe a cuore la formazione del fratello minore, a fungere, nei primi tempi, da guida e da “procacciatore di commesse”, introducendo Mattia, di dieci anni più piccolo, nei circuiti dei collezionisti, ma soprattutto nelle grazie di potenti famiglie romane, dai Barberini ai Colonna.
Tra il 1644 e il 1646 arriva la prima consacrazione pubblica dell’artista di Taverna che, investito da Urbano VIII del prestigioso titolo di cavaliere dell’Ordine di Malta, realizza la pala per la chiesa di San Pantaleo, seguita, nel 1649-1650, dallo stendardo processionale di San Martino al Cimino e, un anno dopo, dai maestosi affreschi dell’abside di Sant’Andrea della Valle. Il 5 marzo del 1646, dopo anni di convivenza, le strade di Mattia e Gregorio si interrompono. Il loro ultimo incontro pittorico è del 1652. L’anno successivo, l’impetuoso talento di Mattia avrebbe lasciato Roma per proseguire a Napoli e a Malta la sua luminosa carriera.
Quel Preti “ritrovato” su Porta San Gennaro

E allora lasciamo anche noi Roma per puntare verso sud. A Napoli una visita alla Porta San Gennaro è d’obbligo. Qui l’affresco seicentesco realizzato da Mattia Preti è tornato recentemente a risplendere dopo il restauro. Il progetto di recupero è stato promosso dall'assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e dal Fai Campania con la collaborazione della IV Municipalità, mentre l’intervento di restauro si è avvalso del sostegno gratuito di AReN (Associazione restauratori napoletani), dell'associazione Friends of Naples e dell'Acen (Associazione costruttori edili Napoli). Per la più antica porta della città campana il “Cavalier calabrese”, dopo l'epidemia di peste del 1656, aveva affrescato con motivi sacri (i Santi che implorano la fine della peste) un'edicola posta come ex voto. In realtà l’affresco di Preti ebbe una vita travagliata. Trent'anni dopo la realizzazione dell'edicola votiva il dipinto fu danneggiato dal terremoto del 1688. Solo alla fine dell'Ottocento si decise di restaurarlo coprendolo con un composto di albume d'uovo e siero di latte, intervento che lo rese quasi del tutto illeggibile.
A Sutri un Preti “privato”
Salutiamo Napoli per risalire la penisola verso Sutri, borgo a una cinquantina di chilometri da Roma, che, dalla sua collina in tufo, domina le mura etrusche. Fino al 10 gennaio Palazzo Doebbing ospita un appuntamento a cura di Vittorio Sgarbi dal titolo Luci e ombre a Sutri. Da Mattia Preti a Depero, un viaggio nell’arte carico di suggestioni, tradizione e mistero. In questo caso al nostro Preti è affidato il compito di tenere viva la lezione caravaggesca, teatralizzandola.

Dall’altro capo del percorso c’è Fortunato Depero, il pittore futurista che più di tutti orientò le sue invenzioni nella direzione della promozione pubblicitaria. La mostra è particolarmente interessante perché presenta alcuni capolavori di Preti in prestito da collezioni private come Erminia trova Tancredi ferito. Ma ci sono anche il San Francesco da Palazzo Chigi di Ariccia, il San Gerolamo in meditazione della collezione Manti, il Noli me tangere della collezione Carratelli.