“Sono un ragazzo con tutti gli altri, la mia è la musica della mia generazione, la musica della gente comune”.
Si descrive così Melià, rapper ventunenne che ha lasciato Soverato da un paio d'anni per motivi di studio e per seguire la sua passione, la musica. Non ama le etichette per descrivere la sua produzione e da qualche tempo ha intrapreso un nuovo percorso artistico. Melià – nome d'arte di Piergiorgio Greto Melia –, che a Milano frequenta un corso in Music Business al SAE Institute, ha mosso i primi passi giovanissimo a Soverato nella scena hip hop con il nome “Billy The Kid”, progetto musicale concluso per la lasciare il posto nel 2018 ad una nuova evoluzione, più matura e consapevole. Con il nome Melià ha pubblicato in rete 3 nuovi brani – anche se nonostante la giovane età la sua produzione è piuttosto vasta -, che segnano la sua nuova identità musicale, raggiungendo buoni risultati di pubblico e di partecipazione anche durante le esibizioni live a Milano. Su Youtube ha pubblicato due videoclip musicali, girati tra Milano e Soverato, segno di un legame profondo con la sua terra d'origine, espresso anche nei testi delle sue canzoni. Due realtà profondamente diverse, ma che nella vita di Melià camminano insieme e si mescolano. Lo abbiamo incontrato e ne è venuta fuori un’interessante conversazione.
Raccontaci di te. Come ti sei avvicinato alla musica?
Sin da piccolo i miei genitori mi facevano ascoltare tante cose diverse: dalla musica americana e inglese alla musica italiana. Non sono cresciuto con l'hip hop. Ascoltavo Rino Gaetano, Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini, ma anche le opere liriche. Quando ho iniziato le scuole media frequentavo ragazzi più grandi di me. È con loro che ho iniziato ad andare ai primi concerti hip hop in cui si esibivano artisti della zona, tuttora miei amici. Da lì ho cominciato a fare free style. Avevo 13-14 anni quando sono entrato per la prima volta in uno studio di registrazione. All'epoca un mio amico, apprezzando il mio modo di fare free style, mi ha convinto ad incidere una canzone. Da quel momento mi sono approcciato alla musica in modo più serio, scrivendo delle tracce che alla fine non sono mai uscite perché ancora non avevo idea di fare musica professionalmente. Dopo aver registrato i primi pezzi e frequentando persone in ambienti musicali, soprattutto hip hop, ed il fonico Vincenzo Maida, che aveva uno studio e che mi ha introdotto alla musica rock e rockabilly, sono entrato nel giro dei ragazzi che a Soverato facevano rap. Da quel momento ho cominciato davvero a pensare di fare sul serio. Ricordo che i primi pezzi, cose abbastanza immature, li registravamo in una mansarda. Non avevamo le possibilità di oggi.
Quando hai mosso i primi passi nel mondo dell'hip hop esisteva una scena a Soverato?
Mi manca molto quella realtà. Ai tempi si facevano tante jam session, soprattutto all'aperto, ma anche open mic, serate in cui ci si poteva esibire liberamente davanti ad un pubblico. Io inizialmente non lo facevo, ero piuttosto piccolo. Piano piano mi sono abituato ed ho superato la mia timidezza. Oggi quella realtà non esiste più perché tanta gente, come me, è andata via per studiare o perché non c'è una grande riconoscimento per questo tipo di musica e la gente non ha più voglia di suonare per un panino e una birra, non ne vale la pena.
Hai scelto un linguaggio di matrice rap. Attualmente la scena rap italiana è molto variegata, ricca di idoli per i più giovani e molto spesso espressione di critica sociale. Secondo te, cosa vuol dire essere rapper oggi?
Secondo me “rapper” è un termine generico, un artista è tale indipendentemente dalla musica che fa. Anche se il rap nasce come genere di protesta, in America dai ghetti, io penso che anche associare il rap al concetto di critica sia fuorviante. La critica va fatta, certo, ma credo che la musica intesa come arte goda di libertà di espressione, per cui un artista deve essere libero di esprimere i concetti che vuole e come vuole. Certamente il rap è cambiato, oggi vale molto di più l'estetica del contenuto. Per esempio, io utilizzo pochi termini volgari e argomenti diversi rispetto a quelli convenzionali del rap, perché il mio obiettivo principale è che l'ascoltatore comprenda il messaggio. Il genere musicale viene dopo. Se hai capito il messaggio, comprendi quello che voglio dire indipendentemente dalla canzone.
Su quali contenuti e temi incentri le tue rime?
I temi variano, ci sono pezzi più malinconici in cui esprimo la mancanza delle proprie radici, della propria terra di origine. Ma non impronto tutto su questo. La politica non mi interessa, o almeno non la voglio esprimere nella musica, mi concentro di più sui temi sociali e credo che chiunque ci si possa ritrovare. Racconto di situazioni in cui tante persone si sono trovate o si potranno trovare, persone che, per esempio, come me sono andate via dalla propria città. “Hai mai” è un esempio, nella canzone dico “hai mai pensato di metterti da parte?”, credo che in molti almeno una volta nella vita lo avranno pensato.
E tu come definiresti la tua musica?
Io faccio musica con sentimento e sensazione, cose che a parole non possono essere spiegate. Penso che la mia sia la musica della mia generazione, la musica della gente comune. Sono un ragazzo come tutti gli altri, esprimo emozioni in musica come un pittore le esprime in un quadro. La mia musica è soprattutto contenuto, è quello che voglio esprimere, è dare importanza a dei valori o esaltare delle virtù. Cerco di fare musica per come io voglio che venga fatta e che sia riconoscibile. Mi sto impegnando per arrivare a questo obiettivo, mischiando il contenuto con il rap.
Hai mosso i primi passi a Soverato, con il nome di Billy The Kid (di questo progetto oggi si trovano poche tracce in rete). Come e quando è iniziata questa esperienza?
È stato l'inizio, in cui io facevo rap classico e seguivo l'onda che andava ai tempi. Poi ho deciso di creare qualcosa di mio, senza seguire ciò che va di moda. Il cambio del nome segna un upgrade, il salto di qualità che sto cercando di raggiungere. Quel percorso è finito. Il punto di partenza del mio nuovo progetto musicale è partito dalla volontà di fare musica in modo diverso, come voglio io, creando qualcosa che sia totalmente mio.
Nel maggio 2018 hai pubblicato sul tuo canale Youtube il brano “Mille Miglia” che segna l'inizio del tuo nuovo percorso artistico. Nel brano racconti del momento in cui qualcuno dichiara alla madre di voler fare il cantante e dici “ho promesso che quel treno io lo prenderò e finché sarò in piedi io ci crederò, ho già perso il conto di chi dice che io non ce la farò”. Ci racconti come nasce questo pezzo? Parli di te?
Il pezzo è nato per caso, in una sera in cui stavo scrivendo un po' di cose. Tutto è venuto fuori in modo molto naturale. Il brano non è necessariamente autobiografico, sono una persona abbastanza chiusa, ecco perché preferisco rimanere sul vago e non far comprendere se parlo di me. Si tratta di un'espressione universale, in cui in tanti si possono riconoscere. Penso ad ogni ragazzo della mia età che si vuole approcciare alla musica, se ha qualcosa da dire e raccontare ce la fa, nonostante le resistenze o le opposizioni che può trovare. Se hai qualcosa da dire e lo sai dire bene in musica ce la fai, è un messaggio a credere in se stessi.
Ritornando ai pezzi incisi, sono seguiti “Non dipende da me” ed “Hai mai”, entrambi in rete con dei video musicali. In che modo partecipi alla scrittura dei video?
Partecipo alla sceneggiatura perché mi interessa che il video sia una storia, come se fosse un film. Video e musica camminano insieme, perché mi interessa che con le immagini venga raccontata una storia in qualche modo legata alla metafora che sta dietro alla canzone. In entrambi i video le scene e la storia corrispondono al messaggio che voglio dare nei brani. A Stefano Sinopoli - regista del video di “Non dipende da me” - ho dato carta bianca, perché apprezzo molto il suo lavoro e ci stimoliamo a vicenda, ma anche in questo caso lo spunto iniziale l'ho dato io perché mi interessa che le immagini esprimano un determinato concetto.
Cosa porti con te di Soverato, citata anche nel tuo ultimo singolo? E quanto il trasferimento a Milano ha inciso sulla tua nuova produzione?
Di Soverato porto l'affetto ed il supporto delle persone, perché noi del Sud, si sa, siamo molto sentimentali e passionali. L'affetto dei ragazzi di giù mi dà forza per fare musica. Il trasferimento ha inciso sui risultati, Milano non è solo la città della moda, ma anche della musica. È da qui che parte tutto, Milano è il centro della musica moderna. Una realtà in cui è più semplice anche solo fare pubbliche relazioni e conoscere qualcuno che ti possa aiutare. Il trasferimento mi ha poi mostrato come la mia musica stia salendo di livello. Una metropoli come Milano, così diversa da Soverato e in cui inevitabilmente cambi stile di vita, ti dà poi un'inspirazione diversa per fare musica nuova.
A Milano ti sei anche esibito dal vivo.
Ho suonato al Boom, che è un locale abbastanza giovane, durante una serata con altri artisti. Poi ho mi sono esibito al Memo, in quell'occasione ho dovuto rivisitare le mie tracce in acustico con una band. È stata una bella sfida. Il primo live l'ho fatto al V.I.P. a Sesto San Giovanni, lì ho avuto la consapevolezza del fatto che la risposta del pubblico è stata positiva.
C'è un disco in cantiere? Progetti futuri?
Sto lavorando molto e ci sono delle novità in arrivo, ma non posso anticipare troppo.
* Foto di Claudia Campoli