E’ una delle specialità di punta del made in Italy, è apprezzato in maniera unanime in tutto il mondo ma, sebbene sia conosciuto anche a livello internazionale, ogni suo gusto evoca le caratteristiche dei luoghi in cui viene realizzato.
Stiamo parlando del gelato artigianale: quello che dal produttore arriva direttamente al consumatore, ne accontenta i gusti, abbinando alla piacevolezza un considerevole valore nutritivo. A condurci dietro le quinte di quella che potrebbe essere definita una vera e propria scienza, alla luce delle difficoltà e dello studio che si celano nella composizione di un buon prodotto, è Davide Destefano, titolare della storica gelateria Cesare di Reggio Calabria, una realtà che opera nel comparto da oltre un secolo, attraversando uno scorcio considerevole della storia della città, capace di rinnovarsi ed innovarsi mantenendo però sempre intatto il legame con il territorio e le sue tipicità grazie all’utilizzo di ingredienti locali e accuratamente selezionati. A testimonianza di ciò i due coni ottenuti dalla guida Gambero Rosso, i numerosi riconoscimenti conquistati in Italia e all’estero (tra i quali “Miglior gelateria d’Italia 2016” e il secondo posto al Salone Internazionale del Gelato di Rimini, concluso da poco) e la presenza sempre costante ai più importanti meeting e fiere del settore.
Quali le caratteristiche prioritarie per definire di qualità un gelato artigianale?
“Innanzitutto è necessario produrlo tutti i giorni: un artigiano deve avere, senza alcun dubbio, il laboratorio e la vendita nello stesso locale, altrimenti diventerebbe difficile persino stabilire se stiamo parlando di un artigiano! Ovviamente un indice ulteriore per capire se stiamo acquistando un gelato di livello è la cremosità, che lo stesso non contenga componenti nocivi, come coloranti artificiali, grassi vegetali idrogenati e, ancora, il colore che non deve essere troppo intenso, e la presenza, presso il punto vendita, della tabella con la lista degli ingredienti. Il cliente, poi, dovrebbe prediligere i locali dove si trovano i gusti del territorio, perché proprio quello è un emblema di artigianalità. Se mi trovo a Reggio Calabria e nella gelateria mi accorgo che esiste il gusto al bergamotto, posso essere sicuro che il prodotto sia locale, proveniente da una filiera corta”.
Quanto è importante radicare un prodotto artigianale nel contesto territoriale in cui si opera?
“E’ importante non solo per una questione di marketing legata esclusivamente al gelato e a chi lo realizza e, quindi, fine a se stessa, bensì per l’idea che si possa realizzare un vero e proprio sviluppo delle economie locali. Perché così operando, si garantisce un valore aggiunto al lavoro di coloro che producono la materia prima. Questa, quindi, viene conosciuta, e il gelato ‘finito’ quintuplicherà il suo potenziale. In poche parole, crescono interi comparti e si conferisce un’unicità al proprio territorio, caratterizzandolo. Da ciò potrebbe nascere il cosiddetto ‘city brand’ e, volendoci riferire a Reggio, giusto per fornire un esempio, ecco che le rive dello Stretto verrebbero associate automaticamente al bergamotto, o all’annona, o alle arance che crescono nella parte nord della città. Lo stesso discorso vale, ovviamente, per la liquirizia a Rossano, per i fichi a Villapiana di Cosenza o per la ricotta delle zone dell’Aspromonte. Il successo al recente salone di Rimini, infatti, è nato con un sorbetto alla liquirizia di Rossano, appunto, con cuore fondente di bergamotto di Reggio Calabria e terra di cioccolato”.
Che possibilità possono scaturire dall’utilizzo dei prodotti tipici del luogo in cui si opera?
“Abbiamo tantissimo a livello di materie prime. Il gap è che non sono completamente conosciute. Noi calabresi, magari, le diamo per scontate, invece nel resto di Italia e all’estero non vengono veicolate in maniera tale che la loro conoscenza sia abbastanza diffusa, sebbene qualcosa in questi ultimi periodi stia cambiando. A mio modesto avviso, per superare tali ostacoli, ogni artigiano, per le proprie competenze, deve adottare un’azione di promozione nei confronti degli ingredienti che caratterizzano i luoghi della sua provenienza. Parlando del mio campo, ad esempio, il gelatiere utilizza il gelato come strumento di marketing delle materie che impiega: presenziando ad eventi (internazionali e non) si informa il cliente sui prodotti locali usati per la realizzazione e si porta il territorio in vetrine nuove. Facendo ciò si garantisce un ritorno a coloro che producono che, a loro volta, saranno contattati per fornire il medesimo ingrediente al di là del gelato creato. Così come è accaduto lo scorso anno con il sorbetto all’annona presentato in contesti più ampi: dopo gli appuntamenti, infatti, ai produttori sono arrivate numerosissime richieste da tutta Italia. Ciò dimostra come da un’azione mirata e congiunta non tragga beneficio un unico imprenditore ma interi settori. Catalizzare, in sintesi, un’attenzione che non sia chiusa nei confini delle proprie città, in modo da cambiare le condizioni economiche a fronte delle eccellenze che abbiamo in Calabria. Perché il discorso potrebbe essere traslato anche in riferimento ai prodotti finiti come il vino, o altre peculiarità enogastronomiche”.
Come nascono le intuizioni che lei propone al consumatore?
“Cerco di educare il cliente, indirizzandolo alla tendenza che mi appartiene di più, alla creatività che infondo nella realizzazione del mio prodotto. Credo che questa sia la caratteristica più significativa in chi si considera artigiano, perché quest’ultimo, in un mondo globalizzato, fa la differenza: ogni artigiano è unico, non ne esiste uno uguale all’altro. L’unione di queste diversità potrebbe rappresentare una svolta ottenendo un risultato che punti allo sviluppo. Stare dentro la propria ‘confort zone’ non permette di crescere ed imparare ulteriormente, invece la sperimentazione, il confronto, il creare un circuito con i colleghi, farà in modo che venga fuori il vero valore aggiunto di una professione e la capacità di sostenersi a vicenda anche di fronte alle difficoltà che, oggi, il mestiere vive”.